Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #28

Un pomeriggio diverso

Il mattino dopo, quando Laura arrivò in biblioteca trovò Patrizia che imprecava.

Cos’è successo?” le chiese.

 “Mi hanno incastrata in una riunione a cui non posso mancare, proprio oggi che dovevo portare Serena in palestra. Aldo non c’è e non so proprio come fare, non mi va di mandarla da sola. Ha cambiato squadra e non conosco nessuno dei genitori delle nuove compagne, così non posso chiedere a nessuno il favore di darle un passaggio.”

Posso accompagnarla io, se vuoi.”

Davvero lo faresti? Non ti disturba?”

Laura sorrise, non capitava mai che Patrizia le chiedesse un favore, era la sola a non approfittare della sua disponibilità. Anche quando i figli erano piccoli lei e il marito avevano sempre fatto in modo di cavarsela da soli il più possibile.

No, altrimenti non te lo avrei proposto. A che ora?”

Basta che partiate da casa verso le quattro.”

Stai tranquilla, ci penso io. Dopo spiegami dove devo andare.”

Non so come ringraziarti.”

Allora non lo fare.”

Non conosceva bene i figli di Patrizia, li aveva visti qualche volta poco più che di sfuggita. Essere utile all’amica le faceva piacere ma si sentiva un po’ imbarazzata all’idea di accompagnare Serena e si chiese se la ragazzina, tredicenne, si sarebbe vergognata per il grasso della sua compagna: lei, come testimoniava la foto sulla scrivania della madre, era carina e magra.

Più tardi Patrizia le chiese cos’aveva fatto la domenica.

Sono andata al mare.” Non le disse che era andata con Umberto e Patrizia non indagò; Laura ne fu contenta perché non voleva parlare di lui, non voleva che quella conoscenza acquisisse la dignità di argomento di conversazione. Doveva, anzi, cancellarla.

A cinque alle quattro Serena già aspettava Laura davanti al portone, indossava i jeans e una maglietta e aveva ai piedi il borsone con la tenuta da palla a volo. Appena vide l’utilitaria fermarsi si avvicinò, aprì lo sportello anteriore e salutò, poi posò il borsone sul sedile posteriore chiedendo:

Va bene se lo metto qui?”

Laura fece di sì con il capo.

Grazie di essere venuta” disse Serena mentre si avviavano.

Di niente. È l’occasione per fare qualcosa di diverso dal solito.”

Che fai di solito?” Laura serrò le labbra. La domanda, naturale e ingenua della ragazzina, suonò per lei come un colpo sleale. Cosa faccio di solito? Si chiese. Cerco di sopravvivere… Doveva rispondere, ma cosa?

Ho una piccola collezione di piante grasse e mi occupo di loro. Oppure leggo. Oppure faccio la spesa o qualche commissione, ce ne sono sempre da fare.”

Anche i miei sono sempre di corsa” osservò Serena e, con sollievo di Laura, non approfondì il discorso. Però, dopo qualche minuto di silenzio, disse:

Perché hai smesso di andare in piscina con la mamma? Lei era contenta che avessi cominciato il corso di acquagym, lei si sente molto meglio da quando lo frequenta.”

Non lo so. Credo di essere molto pigra” ammise Laura, anche se non era esattamente quello il motivo, ovvero non solo quello.

Serena assunse un tono serio: “Non va bene essere pigri.” Poi, scherzosa: “A me lo dicono sempre quindi adesso lo dico io a te.”

Laura sorrise. Era però meglio cambiare argomento:

Sarà una partita difficile quella di oggi?”

Credo di sì. Per me di certo, è solo un mese che gioco con questa squadra e sono tutte brave. Spero di non commettere errori se l’allenatore mi metterà in campo.”

Le avversarie sono forti?”

È la squadra seconda in classifica. La mia è la quarta.”

Non c’è tanta differenza, no?”

In ogni girone le squadre sono solo sei…”

Spiegami un po’ come funziona il campionato, ti va?”

Serena illustrò con molti particolari quanto chiesto da Laura, che evitò così eventuali altre domande poco gradite e si divertì ai racconti di alcuni episodi.

Arrivate nelle vicinanze della palestra Laura parcheggiò, riscuotendo l’ammirazione della sua compagna perché era riuscita a infilare l’auto in uno spazio davvero preciso. Appena scesa Serena si incamminò con passo spedito, per fermarsi quando si accorse che Laura era rimasta indietro.

Lei provò una punta di imbarazzo per il suo essere lenta e si affrettò a raggiungere la ragazzina. Fu in quel momento che prese in considerazione l’idea di ricominciare, per meglio dire cominciare, il corso di acquagym.

Poi, a cena, per la prima volta, pesò le porzioni di pasta e di pane che avrebbe mangiato e non superò le dosi che si era imposta.

 

Quando andò a letto si era convinta che quelle decisioni dipendessero solo da quanto accaduto il pomeriggio con Serena.

 

Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #27

Nel bozzolo

Al ritorno, sull’autostrada, trovarono un po’ di coda e arrivarono a Firenze all’ora di cena. Umberto propose a Laura di fare uno spuntino da qualche parte, ma lei rifiutò. Improvvisamente aveva voglia di restare sola. E poi le sembrava che un’intera giornata insieme fosse già abbastanza.

Salendo le scale si interrogava sul perché di quella decisione: Umberto era stato gentile e mai invadente per tutto il tempo e si trovava a suo agio con lui, non provava più lo sciocco imbarazzo dei primi tempi. Eppure qualcosa le aveva suggerito, anzi imposto quella sorta di fuga. Trascorrere tante ore fuori dall’ambito lavorativo con un’altra persona che non fosse la sua amica Moira (che ormai, purtroppo vedeva così di rado) o la collega Patrizia era un fatto talmente insolito che l’aveva un po’ affaticata, forse disorientata. Doveva riprendersi da quella strana sensazione e, per riuscirci, aveva bisogno della solitudine.

La casa l’accolse con il suo silenzio, le sue ombre consuete, gli impercettibili odori della sua quotidianità. Sedette in poltrona, socchiuse gli occhi. Le sembrava che le emozioni provate nel corso degli anni si fossero affollate tutte insieme e premessero dentro di lei. Nella mente, nel cuore. L’eco di ciascuna delle vecchie emozioni, mai sopite del tutto, le risuonava dentro, in un coro assordante.

Ecco. Era quello. Il motivo.

Non voleva ascoltarle. Non voleva risvegliare quella parte di sé. Non voleva soffrire ancora. Voleva rimanere protetta nel suo bozzolo, non felice ma nemmeno troppo infelice.

Rimase accoccolata in poltrona a lungo, aggrappandosi ad ogni appiglio possibile per non scivolare fuori da quella sorta di limbo in cui era vissuta fino ad allora. La solitudine era triste ma si trattava di una tristezza consueta, di cui conosceva ogni sussulto. Un nuovo rapporto, sia pure di sola amicizia (perché altro, certamente, non avrebbe potuto essere), avrebbe portato nuove ansie e sensazioni dimenticate e lei non avrebbe permesso che accadesse. Non poteva permetterselo, perché se il bozzolo si fosse spezzato non avrebbe avuto la forza di ricostruirlo ancora.


Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #26

Al mare

Laura e Umberto arrivarono a Forte dei Marmi a metà mattina. Era una bella giornata, calda per la stagione; il sole splendeva nel cielo azzurro e l’aria era limpida: le Apuane si stagliavano grigie e bianche contro l’azzurro, il marmo quasi luccicava e sembrava neve.

Camminarono sulla spiaggia, quasi sempre in silenzio; sulla riva canne lasciate dalle onde, piccole conchiglie, bottiglie di plastica, lattine di bibite, perfino una tanica in plastica gialla intorno alla quale prese a girare un labrador prima di sistemarsi e fare sopra i suoi bisogni.

Dopo un po’ sedettero, rivolti verso il mare; sulla sabbia asciutta erano rimaste ancora le impronte dei gabbiani. Persone passavano sul bagnasciuga, cani correvano, pochi bambini giocavano.

È la prima volta che vengo al mare in questo periodo” osservò Umberto.

Io invece ogni tanto capito. In estate sento troppo il caldo e poi il costume non mi dona” scherzò con una punta di amarezza Laura, aggiungendo in fretta: “Mi piace l’atmosfera, trovo che ci sia una luce più bella. E poi la spiaggia senza gli ombrelloni sembra più grande e mi dà un senso di libertà.”

Umberto non disse niente e Laura continuò: “Mi porto un libro e leggo un po’. Mentre cammino guardo gli oggetti abbandonati o portati dal mare, a volte cerco di immaginare come hanno fatto ad arrivare qui quelli più insoliti: un seggiolino da bambini per una bicicletta, una bombola del gas, una vaso da fiori rotto. Penso che ogni oggetto ha una sua storia, come fosse un libro di una biblioteca speciale.” Fece una pausa. “Ti sembra stupido, vero?”

Al contrario. Mi sembra molto poetico.”

Laura arrossì. Aspirò l’aria ricca di iodio e pensò che non aveva detto la cosa più importante e che non l’avrebbe mai detta: andava al mare fuori stagione anche perché si sentiva meno sola.

Un pallone si fermò proprio vicino alla sue gambe; Umberto si alzò e lo calciò verso il ragazzino che lo aveva mandato, per sbaglio, nella loro direzione. Poi guardò l’orologio: “Quasi l’una. Andiamo a cercare un posto per mangiare qualcosa?”

Laura annuì e lui le porse la mano per aiutarla a tirarsi su. Lei esitò, poi la prese, spingendosi comunque con l’altra. Le sembrò che Umberto non avesse fatto uno sforzo particolare, però quel contatto delle loro mani le aveva lasciato qualcosa che avrebbe preferito evitare: le aveva lasciato un’impressione difficile da dimenticare.


Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #24

Sera di pioggia

Dopo quella mattina le soste di Laura al distributore ripresero regolarmente e ogni volta lei e Umberto facevano due chiacchiere. Iniziarono da argomenti abbastanza neutri come lavoro, traffico, tempo, per poi arrischiarsi su terreni meno impersonali come gusti e interessi e, infine, passarono dal lei al tu.

Laura scoprì che lui preferiva il mare alla montagna, nuotava bene e aveva fatto il sub, anni prima; che guardava sempre le corse di auto e moto in TV piuttosto che le partite di calcio, detestava il ciclismo e aveva smesso di giocare a tennis senza un motivo. Lei era più parca di confidenze, come suo solito, ma di quando in quando gli raccontava qualcosa di sé, ad esempio il suo amore per i libri e la predilezione per le piante grasse con le spine.

Una sera di pioggia, Laura si fermò per il rifornimento dopo essere uscita dalla biblioteca, arrivando precisa prima che Umberto chiudesse. Mentre pagava vide il motorino di lui parcheggiato sotto la tettoia.

Non hai la macchina oggi?”

No, quando sono venuto il cielo non era nemmeno coperto.”

Ti bagnerai.”

Abito vicino.”

Vuoi un passaggio? Anch’io sto da queste parti.”

Lui guardò in alto, l’acqua scendeva fitta e probabilmente per un bel po’ non avrebbe smesso.

Non ti disturba?”

No, altrimenti non te l’avrei chiesto.”

Allora grazie. Mi basta un minuto per sistemare.”

Quando salì sull’utilitaria non indossava più la tuta da benzinaio, ma un paio di jeans con sopra un giubbotto blu.

Sto in via Foscolo, sai dov’è?”

Sì. Abito in questa zona da quando ero bambina.”

Io invece vivo qui solo da alcuni mesi e ancora non conosco tutte le strade, i sensi unici, i divieti eccetera.”

Lei pensò che Umberto forse si aspettava una domanda del tipo dove abitavi prima, ma non la formulò, temeva sempre di apparire ficcanaso. Se lui avesse voluto parlargliene lo avrebbe fatto, una volta o l’altra.

Prima che arrivassero in via Foscolo Umberto si batté la mano sulla fronte.

Accidenti. Dovevo passare al supermercato, ho il frigorifero quasi vuoto, c’è rimasta dentro solo roba inutile, quando vado a fare la spesa compro di tutto all’infuori delle cose giuste.”

Vuoi che ci fermiamo? È sulla strada per casa tua.”

Non posso chiederti tanto.”

Prima che lei potesse rispondere si corresse, esclamando:

Anzi, ti chiedo di più: perché non andiamo a mangiare qualcosa insieme? C’è una pizzeria piuttosto buona in piazza Dante, l’ho scoperta il secondo giorno dopo che mi ero trasferito qui.”

Poi aggiunse in fretta, con tono quasi dimesso:

Scusa, sono stato indiscreto. Hai di certo i tuoi impegni, sei stata già fin troppo gentile. Meglio che mi porti a casa, non voglio rubarti più tempo.”

Laura si sentì dire:

L’idea della pizza mi sembra buona. Non ci crederai, ma non sono mai stata a quella pizzeria.”


Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #23

Il depliant

Alla fine, dopo vari ripensamenti, Laura decise che non ci sarebbe stato niente di strano se avesse portato il depliant al benzinaio. Così una mattina passò di nuovo davanti alla finestra dei gatti ed ebbe la fortuna di vederli entrambi, uno acciambellato e uno intento alla toilette. Un buon inizio di giornata.

Al distributore c’erano un’utilitaria e un motorino, ma lui, mentre serviva l’auto la vide e la salutò. Quando fu il suo turno gli porse il depliant:

Quando è venuto in biblioteca ho dimenticato di darle questo.”

Grazie. Sono molte le cose che devo sapere?”

Se ha buona memoria non importa che lo legga, praticamente le ho già spiegato tutto. Comunque qui c’è anche il numero di telefono della biblioteca e gli orari di apertura.”

Bene. È stato gentile da parte sua portarmelo.”

Dovevo fare il pieno, come ha visto.”

Si schermì Laura, poi accese il motore e si avviò, salutando con un cenno della mano. Vide nello specchietto che lui le sorrideva.

 

Pubblicato in: Libri, Racconti

Pecore con gli scarponi, #21

Acquagym

Laura parcheggiò nella piazza come aveva fatto Patrizia quando l’aveva accompagnata a iscriversi al corso di acquagym. La collega era soddisfatta di essere riuscita a convincerla, lei molto meno. Anzi, era già pentita di aver ceduto alle sue insistenze. Nelle ultime settimane le aveva descritto sempre più spesso quanto fosse benefico e gradevole:

È divertente, vedrai. Sono movimenti dolci e mentre ti muovi l’acqua ti fa un massaggio. Sono sicura che ti piacerà. Io ho cominciato due mesi fa e sono entusiasta.”

Le aveva ripetuto questo ritornello un sacco di volte, finché alla fine Laura si era arresa: si era comprata una cuffia e aveva pagato l’abbonamento per un mese.

Scese dall’auto e, lentamente, si diresse verso la piscina e poi verso lo spogliatoio. Aprì la porta, entrò e si sentì in trappola, non si era aspettata di trovare tanta gente: bimbe di tre quattro anni corredate di mamma o nonna, ragazzine, adolescenti, adulte, anziane e perfino oltre… una folla di donne che si spogliavano, asciugavano, vestivano. Appena si riscosse dallo stupore fece dietro front ma sulla soglia si trovò faccia a faccia con Patrizia.

Ciao, Laura. Vieni, sbrighiamoci. Abbiamo solo cinque minuti.”

Non c’è posto.”

Non ti preoccupare, è sempre pieno così. Guarda, là c’è un po’ di spazio” disse Patrizia indicando l’angolo di una panca. “Poi in acqua si sta bene, tranquilla.”

Posarono le borse e si spogliarono in fretta. Laura si sentiva ingombrante, la stanza, benché grande, era attraversata da file di panche e attaccapanni che la dividevano in stretti corridoi, lungo i quali lei si muoveva con difficoltà e solo chiedendo di continuo permesso. Di solito le sue dimensioni non le creavano un problema ma lì non si sentiva a proprio agio. Neanche un po’.

È affollato, è vero. Ma ci si abitua.” La incoraggiò Patrizia, che aveva intuito cosa le passava per la mente.”

Laura annuì. Stava sudando, l’aria era calda e umida e vi aleggiavano gli odori dei bagnoschiuma e delle creme.

Indossarono la cuffia e si incamminarono verso la vasca.

Il nostro gruppo è quello.” Patrizia le indicò una quindicina di donne che entravano in quel momento in acqua.

Dopo dieci minuti di esercizi Laura smise di seguire le indicazioni dell’istruttrice. Di quando in quando accennava un movimento, per non farsi notare troppo. Pensava sconfortata al caos che l’aspettava nello spogliatoio e non vedeva l’ora di essere a casa. Avrebbe dovuto immaginarlo, perché si era fatta convincere da Patrizia? Il perché lo sapeva benissimo: in quel periodo la solitudine le pesava più di quanto non le era mai successo prima, e poi ogni tanto bisogna provare qualcosa di nuovo, qualcosa che non si è mai fatto.

Beh, almeno ci aveva provato.

Patrizia ci sarebbe rimasta male, ma non se ne sarebbe stupita gran che, se lo aspettava di certo. Forse però avrebbe provato una seconda volta, in fondo stare nell’acqua e fingere di fare ginnastica era abbastanza rilassante.

Rientrarono nello spogliatoio insieme ad altri due gruppi, e ci volle un po’ prima che riuscissero a guadagnarsi una doccia libera e poi un phon per asciugarsi i capelli. E per tutto questo tempo e finché non si fu rivestita Laura si sentì ingombrante. Troppo per desiderare di tornarci.

Venerdì andrà meglio, vedrai.” La disse Patrizia quando furono fuori.

Lei annuì, glielo avrebbe detto nei prossimi giorni, che in piscina non sarebbe tornata.


Pubblicato in: Libri, Racconti

PECORE CON GLI SCARPONI, #11

Nessun senso

Le mani fredde, la destra contratta sulla biro. Ebbe un brivido, era gelata dentro, come fosse scesa nelle viscere della terra, in una caverna profonda e oscura. Però, si disse, il centro della Terra è un nucleo di fuoco, perché invece sotto la superficie è freddo?

Che stupida, che importanza ha, si disse ancora, e perché faccio paragoni e uso metafore per dirmi come sto male, come mi sento senza senso alcuno.

Posò la penna, dopo aver aperto la mano con fatica. Aprì e chiuse il pugno più volte, stupendosi di questa possibilità come di un movimento mai sperimentato.

Nessun senso. Disse ad alta voce.

Nessun senso. Ripeté.

Come se non bastasse, in questo percorso assurdo verso la meta, certa ma ignota, sono sola. Non potrebbe essere altrimenti, si corresse. Siamo tutti soli, anche quelli che credono di non esserlo. Amicizia, amore, affetto: niente altro che palliativi, placebo, droghe. Occhiali rosa per non vedere l’assurdo.

E la cosa più assurda, sulle labbra le si disegnò un sorriso amaro, la cosa più assurda è che non posso neppure suicidarmi, perché mettendo fine al mio percorso lo renderei ancora più senza senso.

Senza senso e senza uscita.

I miei pensieri sono scivolati in una direzione che mi spaventa, stasera, mi hanno preso la mano e vanno lontano… neanche tanto poi, perché c’è lei, la morte con il suo mistero a fermarli. Le sbattono contro e si spezzano in frammenti taglienti che mi feriscono, mentre lei da ogni urto esce più forte.

Sospirò. Si sentiva stanca. Stanchissima. Guardò l’orologio, appena mezzanotte.

Sono stanca di pensare. Stanca di sapere che è tutto senza senso e di fingere di ignorarlo, giorno dopo giorno. Forse fingo nella speranza di poter capire, nella speranza che ci sia qualcosa da capire. Forse fingo per disperazione, perché non ho alternative. Nessuno ha alternative, anche se pensa di averle. Fanno come queste pecore: sorridono, indossano gli scarponi e via.

Laura era sempre più stanca, ma di andare a letto neanche a parlarne, non poteva, con certi pensieri in testa, non avrebbe dormito. Perché erano venuti a tormentarla proprio quella sera? Aveva trascorso una giornata piacevole e serena, perché adesso quella consapevolezza a rovinare tutto?

Forse proprio per farle notare che in realtà non aveva nulla di cui rallegrarsi.

 

Pubblicato in: Libri, Racconti

PECORE CON GLI SCARPONI, #3

La biblioteca

Quello che mi salva pensava quando si sentiva triste è il mio lavoro. Perché mi piace. Se non fosse così mi sentirei perduta: occupa tanto del mio tempo, non potrei sopportarlo.

Il suo lavoro era la biblioteca. Non la bibliotecaria, ma la biblioteca. I libri erano una sorta di appendice del suo corpo, peraltro già oltremodo abbondante. Provava apprensione nel registrare i prestiti, sollievo nel ricevere i volumi in restituzione, tenerezza nel riporli, entusiasmo nel catalogare i nuovi; amava riordinare gli scaffali e compilare gli elenchi dei libri da acquistare. I frequentatori abituali la conoscevano bene e cercavano di farsi assistere da lei perché conosceva la collocazione dei libri e aiutava nelle ricerche più difficili, girando nelle sale o tramite il computer; i colleghi l’apprezzavano perché si intendeva di tutto ed era disponibile a fare di tutto, nell’orario normale e anche in straordinario. Quasi sempre se c’era bisogno lei si tratteneva. E quando c’era bisogno chiamavano quasi sempre lei.

A volte le pareva di sacrificarsi un po’ troppo, ma il pensiero che qualcuno per la fretta maltrattasse o perdesse un volume le era intollerabile e allora preferiva occuparsene di persona.

Comunque, quando si immergeva tra le file di scaffali, circondata solo dai libri, nel silenzio del dopo orario di apertura al pubblico il tempo si fermava, con le mille cose da fare per sistemare i suoi amici al meglio. Era incredibile quanto anche i più volenterosi dei lettori sbagliassero nel riporre un volume, e quanto i romanzi e i saggi più richiesti avessero bisogno di manutenzione: passavano da tante mani e si deterioravano in fretta.

Finito il compito per cui si era trattenuta, spesso, indugiava nelle stanze vuote, camminava lentamente, sfiorava con la mano qualche costola qua e là come ad accertarsi che fosse tutto reale e i suoi occhi non l’ingannassero. E poi aspirava l’aria, che, alla fine del giorno, era viziata, sì, ma anche satura di profumi: carta, inchiostro della stampa e delle biro e dei pennarelli di chi aveva preso appunti, polvere. Un odore inconfondibile e rassicurante, che l’avvolgeva come un mantello e l’accompagnava mentre tornava a casa.

 

Pubblicato in: Libri, Racconti

PECORE CON GLI SCARPONI, #2

Grasso

Laura, quel nome petrarchesco sembrava una beffa del destino, le si addiceva così poco: anche se non fosse stata grassa, nessuno, poeta o altro, avrebbe mai potuto dire di lei erano i capei d’oro a l’aura sparsi, a meno che non avesse avuto una sfrenata fantasia. I suoi capelli erano, sì, biondi, ma gialli, piuttosto che dorati, e ispidi, ribelli a pettini e ad acconciature. Da ragazzina, quando era ancora abbastanza magra, li aveva portati cortissimi, quasi a cancellare la loro presenza dalla sua testa, poi con l’aumentare del peso aveva lasciato che allungassero quel tanto che le dava l’illusione di mitigare un poco la rotondità delle sue guance.

Ormai, comunque, il suo grasso era un compagno da cui trovava impensabile separarsi, non tanto per la disciplina delle diete quanto per la sicurezza che in certo senso le offriva. La sovrabbondanza di carne l’avvolgeva morbida e calda come una cuccia confortevole, era il suo guscio di chiocciola gigante dove si rifugiava perennemente, da cui si affacciava di quando in quando per vedere, per guardare la vita che le scorreva intorno. Sola, nascosta, protetta dagli spigoli che potevano ferirla, dal duro che la circondava.

 

Pubblicato in: Libri, Racconti

PECORE CON GLI SCARPONI, #1

Laura e le pecore

Sulla vestaglia color latte acquistata a un grande magazzino erano stampate piccole pecore dalle gambe sottili che calzavano grossi scarponi colorati: rossi, verdi, blu. Le pecore erano molte e occupavano quiete l’intero pianeta costituito dai suoi centodue chili, davvero troppi per il diametro, ovvero per la sua altezza di un metro e sessantuno.

Oltre alle pecore con gli scarponi le tenevano compagnia un libro, un lavoro a maglia e il telecomando della televisione, al momento spenta. Era seduta su una sedia in plastica con i braccioli, con in mano una biro e un blocchetto, intenta a compilare la lista della spesa che avrebbe fatto al supermercato.

Le pecore sorridevano e anche lei, né le une né l’altra sapevano bene perché.

Forse solo perché sorridendo è più facile tirare avanti. Sempre che una ci riesca. Comunque, fino a che una ci riesce.

Lei fino a quel momento c’era riuscita, nonostante difficoltà, delusioni, abbandoni, fatica, solitudine. Le pecore ci riuscivano semplicemente perché qualcuno le aveva disegnate così, con quel sorriso tranquillo, pacato, appagato.

Abbassò gli occhi sul foglio: detersivo delicato per lavatrice, spugne per lavare i piatti, yogurth, biscotti, crackers, prosciutto, pizza surgelata, uova. Cos’altro le serviva? Di cosa si era dimenticata? C’erano almeno altri due o tre oggetti di cui aveva bisogno, era sicura di averli individuati mentre sparecchiava. Pigramente si alzò e andò a controllare nel frigorifero.

Sembrava che non mancasse niente all’appello. Lo stesso nel mobile che fungeva da dispensa. Sospirò sedendosi nuovamente. Erano quasi le undici, avrebbe completato l’indomani la lista. L’avrebbe messa sul comodino con la penna, per un’eventuale ispirazione notturna.

In realtà non aveva molta voglia di andare a letto, benché si sentisse stanca. Avrebbe voluto qualche cosa da fare, qualcuno con cui uscire, parlare. Era abituata alla monotonia delle sue serate e di solito le trascorreva tranquilla apprezzandone i pregi, ma quella sera sembrava che la solitudine le premesse addosso da tutte le parti tanto da farle rimpiangere i tempi della scuola, quando poteva condividere i momenti tristi con Moira. Erano amiche amiche, allora, e stavano sempre insieme e quando non erano insieme si telefonavano per dirsi cosa passava loro per la mente, per consolarsi, per sfogarsi, per raccontarsi qualcosa. Quando erano giovani non c’erano né cellulari né internet, ma non avrebbero potuto essere più vicine di quanto erano state.

Purtroppo con il passare degli anni avevano smesso di vedersi quasi del tutto, forse perché le loro vite avevano preso strade diverse, Moira si era sposata e aveva due figli, o forse perché le cose belle non possono durare per sempre.

Una pecora con gli scarponi verdi la guardava dall’avambraccio sinistro, lei le restituì lo sguardo e nel farlo avvertì come un solletico sulla guancia, era una lacrima che scendeva lenta.

Non voglio piangere. Non serve.” Disse alla pecora. Però le tornò in mente quando aveva comprato la vestaglia, due anni prima al supermercato, e pensò che la sua era una vita da supermercato, né più né meno come la vestaglia. Tutto quello che faceva era da supermercato, lavorare, mangiare, dormire, leggere, ascoltare musica, sì anche il suo amato Chopin: una massa di azioni e di cose in cui affogare, smarrirsi, poi prendere questo e quello e quell’altro ancora per sentirsi alla fine sempre più vuota.

Accidenti che serata no.” Sussurrò. Eppure durante la giornata non era successo nulla che giustificasse quello stato d’animo. Eppure le pecore sulla vestaglia avevano davvero l’aria simpatica e la musica di Chopin era stupenda, anche se lei non la capiva e non riconosceva una nota dall’altra, ma amava quella melodia e non si stancava mai di ascoltarla.

Si impose di reagire, non aveva senso lasciarsi andare alla tristezza, probabilmente era solo troppo stanca, la sera prima si era addormentata alle tre, per finire un romanzo. Controllò che la porta di fuori fosse chiusa a chiave e si infilò nel letto con un nuovo libro; dapprima dovette costringersi a leggere, ma dopo poche pagine i segni neri la circondarono con la loro magia, la stregarono e lei sparì, si cancellò, immersa nella storia come in un universo parallelo.