Definire il SelfPublishing è facile, mentre dare un significato al termine qualità riferito alla scrittura non lo è altrettanto. Anzi.
Più volte mi è capitato di leggere interventi su questo argomento, sia su Facebook che in vari blog, e ne ho anche parlato con colleghi autori self.
Mi sembra che, alla fine, sul tema ci siano tante opinioni quante sono le persone che ne hanno una. Probabilmente, in questo caso, è giusto così.
A differenza dei libri pubblicati da un editore il selfPublishing mette di fronte, senza intermediari, chi scrive e chi legge, quindi offre a entrambi un rapporto diretto.
Nel caso in cui il rapporto, invece, è mediato dall’editore trovo che sia ovvio che questi (l’editore, cioè) possa/voglia dire la sua sul testo che decide di pubblicare; infatti, oltre all’onere materiale, chi pubblica ha anche una responsabilità morale, che lo voglia o no. E poi l’editore ha una sua immagine, una linea editoriale, e può chiedere all’autore di apportare modifiche a quanto ha scritto (ovviamente per correttezza, se le modifiche sono consistenti, la richiesta di effettuarne dovrebbe essere fatta prima della firma del contratto); solitamente si avvale anche di editor per ottenere alla fine un prodotto-libro che rientri nei suoi standard di qualità e si inserisca armoniosamente in una delle sue collane. Insomma, per un libro pubblicato, ci mettono la faccia sia l’autore che l’editore e quindi è giusto che entrambi abbiano voce in capitolo (anche se quella principale dovrebbe essere quella dell’autore).
Quando un autore decide di affidarsi al selfPublishing, secondo me, il concetto di qualità diventa completamente soggettivo (è comunque sempre abbastanza soggettivo). Nei vari interventi che citavo sopra ho letto, per esempio, che per alcuni lettori gli errori grammaticali sono intollerabili, per altri invece conta solo la trama: quindi va bene tutto e il contrario di tutto…
A me gli errori e i refusi danno fastidio, ovviamente se sono pochi (ma pochi davvero, tipo una media di 1 ogni 50 pagine) non incidono sulla mia lettura, mentre se sono troppi possono indurmi anche ad abbandonare il testo.
A parte, però, il mio personale concetto di qualità, al quale cerco di attenermi quando scrivo le mie storie, il discorso che volevo fare è un altro: è possibile, ovvero ha un senso, parlando esclusivamente di selfPublishing, operare una distinzione fra testi di qualità e non?
La domanda non mi sembra peregrina. Affatto. Da essa scaturiscono subito altre due domande: quali criteri applicare e, soprattutto, chi è titolato a passare al vaglio i testi per verificarli secondo i criteri stabiliti?
Se io decido di cedere a un editore un testo è ovvio che sono tenuta e disposta ad accettare (magari contrattando, se posso) le sue decisioni su eventuali cambiamenti e un editing, perché sarà l’editore a pubblicare il mio libro.
Ma se la pubblicazione è a mia totale discrezione perché dovrei affidarmi al giudizio di qualcuno che definisca, tutto sommato in modo arbitrario, se il mio testo è o meno di qualità?
Questo qualcuno dovrebbe avere delle competenze e un’esperienza davvero notevoli, ma sappiamo che anche i critici letterari di professione non sempre sono concordi nell’osannare o denigrare un libro e talvolta hanno anche sbagliato nel predire successi o insuccessi. Quindi si tratta di una persona o di un gruppo quasi impossibile da comporre.
E supponendo per assurdo (sono una matematica…) che un qualcuno del genere esista e che passi al vaglio i testi pubblicati come self, dividendoli in buoni e cattivi: non si perderebbe così la libertà della pubblicazione self?
Intendiamoci, mi è capitato di leggere cose davvero scadenti, non solo per errori, ma per trame, personaggi, incoerenza e assurdità delle storie. Anche per messaggi secondo me deleteri. Nonostante ciò mi sento di voler rivendicare la libertà di espressione, per quanto possa essere usata male.
E voi, cosa ne pensate?