Una nuova cover per questo romanzo in ebook, che parla, fra le altre cose, di tennis, come nel brano sotto riportato. Ma anche di spionaggio industriale e d’amore.
Un custode del circolo sta annaffiando il campo, aspettiamo che finisca prima di entrare. La serata è tiepida e il cielo sereno, l’ideale per una partita.
«Da che parte preferisci stare?»
«È lo stesso. Tanto poi giriamo, no?»
Annuisce. Cominciamo a scambiare e cerco di non colpire bene: palla in rete, poi lunga. Mi permetto un bel rovescio, il mio colpo preferito.
«Complimenti!» dice Claudio.
«Fortuna» mento.
Dieci minuti di palleggio mi sembrano sufficienti e, anche se so che dovrò perdere, propongo: «Proviamo qualche servizio?»
«Come preferisci.»
Sembra distante, perfino distratto. Non capisco perché mi abbia invitata, forse si sta già annoiando: non gioca male, almeno a vedere questi suoi primi colpi, e probabilmente non si diverte con l’imbranata che sto interpretando.
Forse se fingessi di farmi male toglierei dall’imbarazzo lui ed eviterei un’ora sgradevole per me… ma sono sicura che si sentirebbe in dovere di essere premuroso, e questo sarebbe anche peggio. Del resto ho voglia di usare un altro po’ la racchetta e non mi va di inventare un trucco per smettere.
«Comincia tu» mi invita.
Annoiato o no, Claudio sembra proprio essersi imposto un comportamento da perfetto cavaliere e questo sta cominciando a stancarmi, ma di nuovo nascondo la mia irritazione: ringrazio e servo. Piano, naturalmente, e senza imprimere alla palla alcun effetto. Agevole per lui guadagnare il primo quindici con un bel lungo linea. Mi sforzo di continuare così, limitando l’energia e la precisione dei miei colpi, il mio senso per il tiro vincente. Ma è uno strazio. Ogni tanto mi concedo qualcosa, anche perché non intendo certo perdere sei a zero. Ho l’impressione che anche lui non si stia impegnando: cavallerescamente non vuole approfittare della debolezza dell’avversaria.
Avevo creduto che mi sarei divertita comunque, invece il tempo non passa mai, è trascorsa solo una quarantina di minuti. Non scambiamo molto, lascio che chiuda molti diritti, che sono la sua specialità, come ho notato: il punteggio è 4-0 per lui.
Mentre ci soffermiamo per bere, delle voci si avvicinano; mi sembra di riconoscerne alcune e ne ho la conferma quando un gruppetto di persone gira l’angolo e prende posto sulle due panche situate vicino alla rete che delimita il campo.
Non sono affatto contenta nel constatare che Giorgio e Melissa, con altri quattro che non conosco, sono venuti a vedere me e Claudio giocare. Anche sul viso del mio compagno passa un’ombra di disappunto, ma raggiunge lo stesso il gruppo e saluta tutti cordialmente. Mi costringo a imitarlo e, intanto, Giorgio gli spiega: «Quando ho detto ai ragazzi della squadra che avresti giocato con la nostra nuova collega hanno insistito per venire a vedervi. Quindi eccoci qua.»
Ostenta un’aria angelica in cui non credo per niente.
Mi odio. Perché non sono stata zitta l’altro giorno al bar?
Tornando a prendere posto in campo Claudio mi sussurra: «Mi spiace, spero che non ti dia fastidio la loro presenza.»
Altro che fastidio. Sono troppo infuriata, più che altro con me stessa, per rispondergli e mi limito a un gesto della mano che dovrebbe significare “ma figurati”. So che sono scortese, ma non riesco a fare di meglio.
Riprendiamo la partita, sta a me servire. Il mio braccio sfugge al controllo della mia volontà e la mia battuta forte e angolata mette in difficoltà Claudio: la sua risposta è corta e mi guadagno il quindici con uno dei miei rovesci. Dalle panchine applaudono.
La mia rabbia è alle stelle, il mio proposito di tenere un basso profilo e non farmi notare è decisamente fallito. Quando sono in vantaggio 40-0 mi ricordo che mi ero ripromessa di giocare male e, sforzandomi, faccio un doppio fallo, poi lascio che un diritto, discreto ma non imprendibile, mi passi accanto e infine sotterro una volée in rete.
Quaranta pari, mi complimento con me stessa per il mio autocontrollo. Peccato che proprio in questo momento Melissa dica a Giorgio, piano ma non abbastanza che io non possa sentirla: «Vedi, non sa giocare, nei primi quindici è stata solo fortunata.»
Va bene così, mi ripeto, questa è l’impressione che volevo dare. Lottando contro me stessa regalo a Claudio un altro doppio fallo, dandogli il vantaggio. Quanto mi costa perdere così, senza combattere davvero: se l’avessi immaginato non avrei accettato l’invito. Al mio orecchio arriva un’altra osservazione, di una delle due colleghe della squadra di tennis: «Non ha nessuna visione del gioco, continua a servire sul diritto di Claudio, non ha capito che è il suo fondamentale migliore.»
Cavolo, certo che l’ho capito, ho capito anche molto altro. Non ce la faccio più e servo in modo impeccabile. Siamo di nuovo pari. La voce dentro di me che insiste affinché continui a giocare male si fa sempre più fievole, la presenza degli spettatori ha reso la mia recita una tortura. Inoltre sono sicura che Claudio non stia colpendo al suo meglio perché sono una donna ed è un’altra cosa che non sopporto.
Insomma, sto per scoppiare.
Dopo i successivi palleggi ottengo il vantaggio, che, poco dopo, diventa punto. 4-1 per Claudio.
Il suo primo servizio è ridicolo e lo punisco con un lungo linea di diritto, so tirarli bene anch’io. Imprendibile. Qualcuno nel gruppo sussurra “Che culo” e questo mi dà altra carica.
Stavolta Claudio colpisce la palla con più energia, mandandola verso l’esterno, sul mio rovescio; forse pensa di mettermi in difficoltà dato che per la maggior parte delle persone il rovescio è il colpo più debole, ma è lui ad esserlo, la mia risposta lo sorprende e si salva per un pelo, con un tiro corto che mi offre l’estro per una demi volée vincente.
«Brava!» esclama. Sportivo, il mio avversario. Rigido e antipatico ma sportivo.
Proseguiamo e alla fine il punto è mio. In platea c’è brusio, ma non riesco a udire nemmeno una parola e non mi importa più cosa dicono.
Di nuovo servo al mio meglio; anche i colpi di Claudio sono più pesanti e incisivi, avevo ragione, finora era stato cavalleresco: ora non ha più motivo di esserlo e poi non vorrà perdere davanti ai colleghi. Dopo alcuni quindici lottati recupero i due punti di svantaggio: siamo pari, 4-4.
Adesso giochiamo a ritmo sostenuto, finalmente questo è tennis. Al cambio di campo, sul 5-4 per lui, Claudio mi indirizza uno sguardo strano, di sfida ma non solo, non riesco a decifrarlo. Il mio cambiamento di gioco forse lo ha indispettito e non si sente più in dovere di essere cavaliere. Pazienza se se l’è presa. Non è cosa di cui mi importi, mi interessa solo colpire la palla e rimandarla di là dalla rete, nel modo e nel punto che la rendano difficile da raggiungere. So che mi sto comportando da idiota perché così non passo certo inosservata. Ma mi sono lasciata coinvolgere nella partita e ormai non posso che continuare. Oltre tutto Claudio è davvero bravo, un avversario di tutto rispetto, e misurarmi con lui è stimolante.