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Autopubblicazione vuol dire sacrificio e duro lavoro

Un articolo che spiega molto bene le difficoltà e le fatiche di un autori/trice self…

foto marco freccero

di Marco Freccero – Pubblicato l’8 ottobre 2018

Molti pensano che sia un’esagerazione. Eppure autopubblicazione vuol dire sacrificio e duro lavoro. Naturalmente già immagino qualcuno pronto ad alzare la manina per ricordarmi che il lavoro “vero” sta da un’altra parte.

Il lavoro “vero” l’ho fatto per anni. Per anni ho sentito degli ometti e delle donnette che “Ma io la domenica non posso lavorare perché c’ho la partita / il ragazzo/la ragazza”.

Le stesse persone, probabilmente, che se la prendono con albanesi e senegalesi perché loro sì sanno che cosa è importante: il lavoro. E poi (dopo), tutto il resto.
Però questi ometti e queste donnette fanno la loro bella figura nelle piazze a suonare tamburi e a sventolare bandieroni chiedendo “lavoro”.

Certo. 

Auguri.

Adesso passiamo all’argomento di questo post.

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Citazione da Gerard Genette

In realtà è la citazione di una citazione: ho trovato questo periodo nel libro Dino Campana Sperso per il mondo, a cura di Gabriel Cacho Millet e, più precisamente, nella premessa.

È in francese e così la riporto, seguita dalla mia traduzione.

Le temps des oeuvres n’est pas le temps défini de l’écriture, mais le temps indéfini de la lecture et de la mémoire. Le sens des livres est devant eux et non dérrière, il est en nous.

(Gerard Genette)

(Il tempo delle opere non è il tempo definito della scrittura, ma il tempo indefinito della lettura e della memoria. Il significato dei libri è davanti a loro e non dietro, è in noi.)

20180829_215116 bl Genette

 

 

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Le carte di Propp #3

Ecco ultime funzioni individuate da Propp:

21 sua (dell’eroe) persecuzione
22 l’eroe si salva
23 l’eroe arriva in incognito a casa
24 pretese del falso eroe
25 all’eroe è imposto un compito difficile
26 esecuzione del compito
27 riconoscimento dell’eroe
28 smascheramento del falso eroe o dell’antagonista
29 trasfigurazione dell’eroe
30 punizione dell’antagonista
31 nozze dell’eroe

Direi che queste funzioni siano tutte presenti, a parte forse la 29, la trasfigurazione, nella parte finale dell’Odissea.

Rodari suggerisce di verificare che molte delle funzioni si ritrovano anche in romanzi/film moderni, come quelli di 007. E, di sicuro, molte trame contengono questi elementi: alcuni sono più facilmente individuabili, altri lo sono meno.

Le funzioni, o un loro sotto insieme, potrebbero anche costituire la traccia per una storia, quasi come se ciascuna di essere fosse il titolo di un capitolo.

Le citazioni sono tratte da Grammatica della fantasia di Gianni Rodari.

cover Grammatica Fantasia

 

 

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Le carte di Propp #2

Ecco altre funzioni individuate da Propp:

10 consenso dell’eroe
11 partenza dell’eroe
12 l’eroe messo alla prova dal donatore
13 reazione dell’eroe
15 fornitura del mezzo magico
16 lotta fra eroe e antagonista
17 l’eroe marchiato
18 vittoria sull’antagonista
19 rimozione della sciagura o mancanza iniziale
20 ritorno dell’eroe

Non tutte le funzioni sono presenti in tutte le fiabe ma, se la fiaba

è sufficientemente antica – è difficile che salti all’indietro, per recuperare i passaggi dimenticati.

Inoltre

Ogni funzione può comprendere il suo contrario: il divieto può essere rappresentato da un ordine positivo.

Le citazioni sono tratte da Grammatica della fantasia di Gianni Rodari.

cover Grammatica Fantasia

 

 

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Le carte di Propp #1

Anni, fa, leggendo Grammatica della fantasia, di Gianni Rodari, ho scoperto l’esistenza delle carte di Propp. Si tratta di una schematizzazione delle trame delle fiabe e quindi delle storie in generale.

Le schematizzazioni mi intrigano e questa, in particolare, mi intriga doppiamente perché è legata alla scrittura. La teoria di Propp si può estendere alle storie in generale, non è valida solo per le fiabe. In sintesi si può dire che “le storie sono sempre le stesse”. Quindi quello che differenzia le une dalle altre è il modo di scriverle, inteso magari in senso lato, includendo elementi come l’ambientazione, il linguaggio, il punto di vista.

Propp scompone la struttura delle fiabe in funzioni e formula tre principi:

1 gli elementi costanti, stabili della favola sono le funzioni dei personaggi, indipendentemente dall’esecutore e dal modo dell’esecuzione;
2 il numero delle funzioni che compaiono nelle fiabe di magia è limitato;
3 la successione delle funzioni è sempre identica.

Per capire cosa Propp intende per funzioni ecco l’elenco delle prime:

1 allontanamento
2 divieto
3 infrazione
4 investigazione
5 delazione
6 tranello
7 connivenza
8 danneggiamento (o mancanza)
9 mediazione

Già con queste prime nove funzioni vengono in mente trame e storie, o, almeno, parti di esse, no?

Vladimir Jakovlevič Propp, linquista e antropologo russo, nacque a San Pietroburgo il 17 aprile 1895 e morì a Leningrado il 22 agosto 1970. le opere in cui espone le sue teorie sulla struttura delle fiabe sono Morfologia delle fiaba e La trasformazione nelle fiabe di magia.

Le citazioni sono tratte da Grammatica della fantasia.

cover Grammatica Fantasia

 

 

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Scrivere una storia: facile o difficile?

Idee per una storia? Oh, è facile averne.

Una scena, una parola, un personaggio, una cosa che sembra un’altra cosa… sono infiniti gli spunti che suggeriscono una possibile vicenda.

Fin qui, credetemi, è tutto semplice. La fantasia trasforma un granello di sabbia nell’incontro fra due persone, nella ricerca di un tesoro, nella prova di un omicidio. Geniale.

Subito dopo, però, arriva la parte difficile: l’idea deve essere sviluppata, la possibile vicenda popolata di personaggi reali (e non è un ossimoro: i personaggi, anche quelli fantastici, devono essere realistici ovvero reali nel contesto in cui agiscono, ovvero nella storia). E ognuno deve essere coerente con se stesso, e partecipare allo svolgimento della storia, com’era nell’idea di partenza (anche se, ovviamente, strada facendo quell’idea si può modificare – si spera in meglio).

Prendiamo ad esempio un plot classico dei rosa: un lui e una lei che si incontrano, subito si detestano ma in realtà si piacciono, ma lo scoprono o ammettono solo alla fine del romanzo. È facile scrivere una storia così? Non quanto – forse – sembra. Almeno se la si vuole rendere coerente. Ancora più complicato se la si vuole originale.
Limitiamoci per ora alla coerenza: perché lui e lei all’inizio si odiano? Ci vuole un motivo valido e plausibile, possibile nell’ambiente e nell’epoca in cui si svolge la vicenda. E perché l’odio si trasforma in amore? Oppure, perché alla fine i protagonisti decidono di ascoltare la voce dell’amore invece che quella dell’odio?
Il cambiamento per essere credibile deve essere graduale oppure conseguente a un avvenimento che può suscitarlo anche all’improvviso. In un susseguirsi di piccoli eventi i due si conoscono meglio, vengono svelati segreti e/o dettagli sulla loro vita e quindi imparano ad apprezzarsi e/o a giustificarsi a vicenda oppure lo svelarsi di un mistero capovolge le prospettive e fa sì che i due possano amarsi senza più problemi.
Il tutto deve essere coerente con i personaggi, su come sono descritti e mostrati dall’inizio; ciascuno dei personaggi deve affrontare gli eventi com’è logico che sia per una persona con il suo carattere, con le sue abitudini, cultura eccetera. Anche i personaggi ala fine saranno diversi da com’erano all’inizio, almeno in parte, certo, ma la loro evoluzione – o involuzione, in alcuni casi – dev’essere motivata.

In sintesi si potrebbe dire che è la storia non è altro che il percorso dall’incipit all’epilogo, in cui i protagonisti, dopo aver vissuto una serie di vicende, saranno cambiati. Perché così è anche nella vita, nel fiume non scorre mai la stessa acqua anche se sembra che sia così, Eraclito docet. Ma fra una goccia e l’altra non ci sono interruzioni, non ci sono salti, il flusso è continuo e così dev’essere anche in una buona trama.

Per questo, a mio parere, è facile avere idee accattivanti e interessanti, mentre non lo è affatto svilupparle fino a scrivere un’intera storia. Per farlo occorrono volontà, disciplina e impegno.

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Amazon Prime Reading e Kindle Unlimited

Da qualche giorno è attivo anche in Italia un nuovo servizio per clienti Prime di Amazon, Prime Reading, che consente di scaricare gratuitamente ebook (a scelta fra un numero limitato).

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Per chi non lo sapesse Prime è un servizio di Amazon nato come forma di abbonamento per avere la spedizione veloce dei prodotti acquistati a un prezzo più conveniente.
Da circa un mese il costo annuale di Prime è raddoppiato perché offre agli abbonati molto più di un servizio di spedizione celere: fra le altre cose consente di vedere serie TV, avere sconti, avere spazi di archiviazione.
Io, però, non voglio pubblicizzare Prime né descrivere questo servizio, se non per la parte nuova nuova che è Prime Reading, e voglio confrontare, per quanto posso, questo abbonamento con quello Kindle Unlimited, sia dal punto di vista dei lettori che di quello degli autori.

Per i lettori

Gli ebook disponibili con l’abbonamento Prime Reading sono, al momento, qualche centinaio, quelli disponibili con Kindle Unlimited (nel seguito KU, per brevità) sono decine di migliaia. Gli ebook disponibili con Prime sono tutti anche disponibili con KU.
Il costo di Prime è di circa 40 euro all’anno, quello di KU di 9,99 al mese.
Chi ha l’abbonamento Prime e anche KU non ha nessun vantaggio da Prime Reading, continua a scaricare gli ebook grazie a KU (me lo ha confermato l’assistenza).
Chi ha Prime per altri motivi, dalla fine di maggio 2018, può scaricare gratis gli ebook disponibili con questo servizio.

Per gli autori

Facciamo un’ulteriore distinzione: autori con ebook selezionati per Prime Reading e gli altri.

Premesso che non rientro nel primo gruppo, so comunque che gli autori con ebook scaricabili con Prime Reading hanno dato il loro consenso ad Amazon che ha corrisposto loro un importo forfettario come compenso. Per gli scarichi che i clienti Prime faranno dei loro ebook non percepiranno altri compensi però gli scarichi contribuiscono a far salire gli ebook nella classifica delle vendite.
Quindi che vantaggio hanno, oltre alla cifra forfettaria ricevuta? La possibilità di vedere salire in classifica un loro ebook con l’eventuale effetto di trascinamento sia per acquisti di quell’ebook sia per acquisti o scarichi con KU di altri loro ebook.
In questi primi giorni di Prime Reading (gioco di parole, sorry) la classifica generale e quelle dei vari generi sono state invase nei primi posti da ebook Prime. Come si evolverà la cosa nelle prossime settimane dobbiamo vederlo. In parte, penso, l’effetto novità diminuirà, come per tutte le novità, in parte, supponendo che gli utenti Prime siano molti, continuerà a influenzare le classifiche.
Non essendo un autore selezionato non so se e quanto siano cambiati e cambieranno i dati di vendita extra Prime (per gli autori con ebook Prime).

Gli autori che non hanno ebook in Prime Reading hanno assistito alla rivoluzione improvvisa della classifica e, probabilmente, almeno alcuni, hanno visto calare le loro vendite e, soprattutto, gli scarichi con KU.
Se molti utenti KU sono anche Prime può darsi che abbandonino KU, almeno per un po’, per approfittare delle letture che possono fare gratis tramite Prime Reading, portando così un ulteriore calo negli scarichi KU. Se questo non avverrà, probabilmente, non ci saranno grossi sconvolgimenti, soprattutto passati i primi tempi. C’è infatti da considerare che chi ha l’abbonamento Ku è un lettore forte (altrimenti l’abbonamento non gli converrebbe), mentre gli ebook in Prime sono meno di 1000.

In conclusione… staremo a vedere.
Questo articolo non è una critica ma solo un insieme di constatazioni e considerazioni.

Voi che ne pensate? Siete Prime, KU o autonomi?

 

 

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Sintagma: una parola desueta?

La mattina ascolto spesso la radio, sul canale Rete Toscana Classica.

Ogni giorno trasmettono una trasmissione dal titolo Almanacco, in cui parlano brevemente di un evento avvenuto nello stesso giorno e mese: la nascita o la morte di un musicista o interprete, la prima di un’opera o di un concerto. Al ricordo dell’evento segue un ascolto musicale ad esso collegato.

Stamani, 15 febbraio, è stata ricordata la nascita di un musicista tedesco, Michael Praetorius. Mi hanno colpita due cose: è nato e morto nello stesso giorno dell’anno: 15 febbraio 1571 e 15 febbraio 1621, rispettivamente, e ha scritto un testo di storia musicale dal titolo Syntagma Musicum (1619).

Mi sono mentalmente annotata la parola sintagma, la trovo intrigante. E poi era in tema con il mio post di qualche giorno fa, sulle parole desuete e comuni. Lo Zingarelli ne dà questa definizione:

Opera organicamente composta, trattato, libro.

È una parola che viene dal greco e direi che si intuisce anche dal suono (anche se non conosco il greco, a parte l’alfabeto, imparato studiando Matematica).

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Parole desuete o comuni?

Forse sarebbe più preciso scrivere parole non troppo comuni.
Lo Zingarelli riporta per desueto: insolito. Disusato. Dissuefatto.
Da notare che il vocabolario del programma di text editing rileva come errato il termine dissuefatto

Stamani ho sentito parte di una chiacchierata su radio3 che riguardava un articolo che trattava, se ho ben capito, non avendo ascoltato il discorso dall’inizio, dell’uso di parole un po’ meno comuni del solito.
Così mi è venuto in mente di spendere qualche parola sull’argomento.
Molti libri e articoli utilizzano raramente termini che non siano di uso molto comune. Questo può dare un’idea di chiarezza, di fluidità a un testo (perché si suppone che così nessuno si trovi davanti a una parola di cui non conosce il significato) ma certo non arricchisce il vocabolario del lettore.
Non intendo dire che un autore dovrebbe utilizzare parole particolarmente difficili, basterebbe che si affidasse a termini precisi, non generici, non abusati; che cercasse la sfumatura più adatta a quello che vuole esprimere fra termini che sono sinonimi fra loro, invece di scegliere il più semplice, il più alla moda.

Negli anni Novanta ho partecipato a un seminario di scrittura creativa tenuto da Dacia Maraini. Fra le altre cose, la scrittrice parlò della sensualità della parola, significando con questo che le parole dovrebbero suscitare sensazioni. Fece un esempio per mostrare come l’uso di un termine piuttosto che di un altro cambi completamente l’atmosfera della scena descritta. In modo molto maldestro riporto un facsimile molto ridotto di quell’esempio:

Versione 1: Un signore uscì insieme alla moglie per andare con lei a comprare il giornale.
Versione 2: Un tale uscì dal portone insieme alla consorte per recarsi con lei ad acquistare il quotidiano.

La versione 1 è meno fredda della 2, che somiglia più a un articolo di cronaca che a un racconto.

Ovviamente parole sensuali non è la stessa cosa che parole desuete, ma trovo che ci sia un’affinità: sia perché spesso parole desuete sono più evocative di sinonimi più comuni, sia perché introdurre in un periodo un termine che suona insolito può trasformare quel periodo da normale a speciale, dargli un colore che altrimenti non avrebbe avuto.

E poi, l’italiano è così ricco di vocaboli. Perché non cercare di usarne il più possibile? Purché non a sproposito, naturalmente.

20170104_122734 parole desuete

 

 

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Scrittura creativa: la verosimiglianza

A volte capita di commentare un fatto dicendo che la realtà supera la fantasia: succede quando il fatto sembra assurdo, inverosimile. Un fatto del genere, se narrato in un racconto o in romanzo, probabilmente ci farebbe esclamare che la storia è troppo fantasiosa, impossibile.

Questo perché ciò che si scrive, che si inventa, deve avere una sua logica, la trama deve essere coerente con i personaggi: altrimenti la storia non è credibile. Invece la vita è la vita e non deve passare nessun esame del genere. Nella vita le cose succedono e basta.

Ecco come Pirandello esprime questo concetto, molto chiaramente e, direi con un po’ di ironia:

Perché la vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire.

Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All’opposto di quelle dell’arte che, per pare vere, hanno bisogno d’esser verosimili. E allora, verosimili, non sono più assurdità.

Un caso della vita può essere assurdo, un’opera d’arte, se è opera d’arte, no.

E segue che tacciare d’assurdità e d’inverosimiglianza, in nome della vita, un’opera d’arte è balordaggine.

In nome dell’arte, sì; in nome della vita, no.

(Da “Avvertenza sugli scrupoli della fantasia” – Luigi Pirandello)

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