Forse sarebbe più preciso scrivere parole non troppo comuni.
Lo Zingarelli riporta per desueto: insolito. Disusato. Dissuefatto.
Da notare che il vocabolario del programma di text editing rileva come errato il termine dissuefatto…
Stamani ho sentito parte di una chiacchierata su radio3 che riguardava un articolo che trattava, se ho ben capito, non avendo ascoltato il discorso dall’inizio, dell’uso di parole un po’ meno comuni del solito.
Così mi è venuto in mente di spendere qualche parola sull’argomento.
Molti libri e articoli utilizzano raramente termini che non siano di uso molto comune. Questo può dare un’idea di chiarezza, di fluidità a un testo (perché si suppone che così nessuno si trovi davanti a una parola di cui non conosce il significato) ma certo non arricchisce il vocabolario del lettore.
Non intendo dire che un autore dovrebbe utilizzare parole particolarmente difficili, basterebbe che si affidasse a termini precisi, non generici, non abusati; che cercasse la sfumatura più adatta a quello che vuole esprimere fra termini che sono sinonimi fra loro, invece di scegliere il più semplice, il più alla moda.
Negli anni Novanta ho partecipato a un seminario di scrittura creativa tenuto da Dacia Maraini. Fra le altre cose, la scrittrice parlò della sensualità della parola, significando con questo che le parole dovrebbero suscitare sensazioni. Fece un esempio per mostrare come l’uso di un termine piuttosto che di un altro cambi completamente l’atmosfera della scena descritta. In modo molto maldestro riporto un facsimile molto ridotto di quell’esempio:
Versione 1: Un signore uscì insieme alla moglie per andare con lei a comprare il giornale.
Versione 2: Un tale uscì dal portone insieme alla consorte per recarsi con lei ad acquistare il quotidiano.
La versione 1 è meno fredda della 2, che somiglia più a un articolo di cronaca che a un racconto.
Ovviamente parole sensuali non è la stessa cosa che parole desuete, ma trovo che ci sia un’affinità: sia perché spesso parole desuete sono più evocative di sinonimi più comuni, sia perché introdurre in un periodo un termine che suona insolito può trasformare quel periodo da normale a speciale, dargli un colore che altrimenti non avrebbe avuto.
E poi, l’italiano è così ricco di vocaboli. Perché non cercare di usarne il più possibile? Purché non a sproposito, naturalmente.