(titolo originale “Voyage au bout de la nuit”; pubblicato nel 1952, edizione che sto leggendo del 2011; traduzione di Ernesto Ferrero)
Sulla guerra.
La poesia eroica conquista senza colpo ferire quelli che non vanno in guerra e meglio ancora quelli che la guerra sta arricchendo spaventosamente. Regolare.
Si perde la maggior parte della propria gioventù a colpi di goffaggini. Era chiaro che stava per abbandonarmi la beneamata, presto e per sempre. Non avevo ancora imparato che esistono due umanità molto diverse, quella dei ricchi e quella dei poveri. Mi ci son voluti, come a tanti, vent’anni e la guerra, per imparare a starmene nella mia categoria, a chiedere il prezzo delle cose e degli esseri prima di prenderli, e soprattutto prima di attaccarmici.
Loro non cercavano affatto di capire quel che capitava attorno a noi nella vita, capivano soltanto e a malapena che il normale delirio del mondo era cresciuto da qualche mese, in tali proporzioni che non si poteva più fondare la propria esistenza su alcunché di stabile.
Certi soldati ben dotati, a quel che avevo sentito raccontare, provavano quando si buttavano nella mischia, una specie di ebbrezza e persino una intensa voluttà. Quando da parte mia cercavo d’immaginare una voluttà di quel tipo particolarissimo, finivo per star male per otto giorni almeno. Mi sentivo così incapace di uccidere qualcuno, che era proprio meglio che ci rinunciassi e la finissi sùbito. Non che mi fosse mancata l’esperienza, avevano fatto di tutto per darmi il gusto, ma mi faceva difetto il talento. Mi ci sarebbe forse voluta un’iniziazione più lenta.