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I cani di strada non ballano – Arturo Pérez-Reverte * impressioni di lettura

(titolo originale “Lo perros duros no bailan”, 2018; traduzione di Bruno Arpaia)

Un romanzo breve in cui i personaggi sono tutti cani. Cani di strada, per lo più. Il protagonista è Nero, che per due anni ha combattuto contro altri cani in quello che chiama Scannatoio ed è poi diventato guardino del magazzino dello stesso padrone che lo aveva fatto combattere. Nero racconta in prima persona, ecco qualcosa di ciò che dice di sé:

Sono nato meticcio, incrocio fra un mastino spagnolo e un fila brasileiro.

Non a caso per due anni mi sono guadagnato da vivere con quelli che chiamano combattimenti di cani, sapete di cosa parlo: un cerchio – lo Scannatoio, in gergo cagnesco –, un mucchio di umani sudati e vociferanti che scommettono denaro e due lottatori dagli occhi febbrili che si affrontano a morsi. All’ultimo sangue. E cose del genere non accadono e poi si dimenticano facilmente.

Nero e altri cani, fra cui Agilulfo, un segugio magro, filosofo e colto, si incontrano all’Abbeveratoio di Margot, un canale di scolo in cui sversa una distilleria di anice, che Margot, una bovara delle Fiandre, tiene pulito e protetto dai gatti.

La storia si apre all’Abbeveratoio, dove Nero scambia due chiacchiere con Agilulfo e con Margot e dalla seconda pagina scopriamo quale sarà la trama: un altro cane, Teo, l’amico di Nero, è scomparso da alcuni giorni insieme a Boris il Bello e nessuno sa dove sia finito.

Un po’ di tempo prima l’amicizia fra Nero e Teo si era incrinata a causa di una femmina, Didone, che piaceva a tutti e due e aveva scelto Teo. Nonostante questo Nero decide di indagare e, domandando qua e là, segue le tracce di Teo e di Boris, scoprendo che quasi certamente sono stati catturati dagli uomini che organizzano i combattimenti fra cani. Per essere sicuro che le cose stiano così c’è solo un modo: farsi catturare da quegli stessi uomini. Così Nero torna ad essere per un po’ di nuovo un cane che combatte e questo lo costringe a uccidere ancora ma gli consente anche di ritrovare Teo…

Nero è un vero e proprio eroe, a mio parere, una sorta di Philip Marlowe, altrettanto disincantato e nello stesso tempo idealista. Non è perfetto, ha dovuto uccidere per sopravvivere, ma al momento in cui sente che l’amico è in pericolo rischia la vita per trovarlo e salvarlo, perché

Un cane non è altro che una lealtà in cerca di una causa.

Sfidando la sorte accetta di tornare al mondo da cui era uscito vivo – come a pochi succede – e si ritrova così a lottare contro i suoi simili, in allenamento e nel combattimento vero e proprio.

La cosa peggiore, nello Scannatoio come nella vita, non è il combattimento. È l’attesa.

Insomma, Nero fa quello che va fatto, una volta presa la decisione di cercare Teo non ha dubbi né incertezze, non si chiede quanto potrebbe costargli.

Intorno al protagonista molti personaggi, da Susa, la puttanella del Varco del Topo a Tequila, la capobanda dei cani trafficanti di ossi e resti di macelleria, da Helmut e i suoi compari neo-nazisti al bassotto Mortimer che

Andava subito al sodo. Ti si piantava davanti con le sue zampe corte, la coda tesa e gli occhi tranquilli, e ti spiattellava in faccia la verità senza battere ciglio. Era un cane a bruciapelo. Zero in diplomazia canina.

Sinossi

È per via dell’anice sversato nel fiume dalla distilleria che i cani del quartiere si riuniscono, di sera, all’Abbeveratoio di Margot. Oggi, tra un sorso e l’altro, serpeggia nell’aria la preoccupazione. Da parecchi giorni due di loro mancano all’appello: il ridgeback rhodesiano di nome Teo e il levriero russo Boris, detto Il Bello. Gli altri, i loro compagni, hanno intuito che la scomparsa nasconde qualcosa di sinistro e sono all’erta. E uno di loro, un meticcio con lo sguardo segnato dal sangue e dalla fatalità, un ex lottatore sopravvissuto a due anni di combattimenti feroci in un capannone di periferia, decide di cercarli. Il suo nome è Nero. Ha l’anima rappezzata e gli occhi da vecchio, cicatrici sul muso e nella memoria, ma da solo intraprende il viaggio, la sua nuova ricognizione nelle cattiverie della vita.

È indimenticabile questa storia nera che Pérez-Reverte inventa. Una compagnia di personaggi duri e beffardi, sui quali si staglia un meticcio coraggioso e solitario che si muove in un mondo diverso da quello degli umani, dentro il quale valgono soltanto le migliori regole della lealtà e dell’appartenenza. Un mondo che a volte ha clemenza per gli innocenti, e una giustizia per chi è colpevole.

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Questione di Costanza – Alessia Gazzola * Impressioni di lettura

Costanza è una giovane donna siciliana, ragazza madre di una bambina di quasi tre anni, che ottiene un contratto per un anno presso l’istituto di Paleopatologia, per un’attività che riguarda solo in parte la sua specializzazione in medicina, ma ha bisogno di lavorare e lo accetta. Il lavoro è a Verona, dove già vive la sorella più giovane, psicologa, con cui va ad abitare.

Costanza mi ricorda molto Alice Allevi, come carattere e atteggiamento, indecisa e abbastanza portata a combinare guai e come i romanzi che hanno Alice come protagonista anche questo mi ha lasciata insoddisfatta e non solo per il fatto che è in pratica la prima metà di una storia, ma proprio per come procede la narrazione, che si dilunga – a mio parere – troppo in dettagli e scene non essenziali.

La vicenda di Costanza (narrata in prima persona) si alterna a quella (raccontata in terza persona) di Selvaggia e Biancofiore, due figlie naturali di Federico II di Svevia, a cui rimandano i resti di un corpo trovato nel sito in cui la giovane patologa lavora. L’autrice in una nota finale spiega quanto di questa parte è sua invenzione o supposizione quanto dato reale.

Ho trovato la storia piuttosto poco realistica ma non scendo in dettagli per evitare lo spoiler.

La scrittura è leggera e, nonostante il tema della ragazza madre, a mio parere anche la storia lo è. Mi ha fatto venire in mente i romanzi di Sophia Kinsella (ne ho letti tre) ma devo dire che ho apprezzato di più quelli dell’autrice americana.

Sinossi

Verona non è la mia città. E la paleopatologia non è il mio mestiere. Eppure, eccomi qua. Com’è potuto succedere, proprio a me?

Mi chiamo Costanza Macallè e sull’aereo che mi sta portando dalla Sicilia alla città del Veneto dove già abita mia sorella, Antonietta, non viaggio da sola. Con me c’è l’essere cui tengo di più al mondo, sedici chili di delizia e tormento che rispondono al nome di Flora. Mia figlia è tutto il mio mondo, anche perché siamo soltanto io e lei… Lo so, lo so, ma è una storia complicata.

Comunque, ce la posso fare: in fondo, devo resistere soltanto un anno. È questa la durata del contratto con l’istituto di Paleopatologia di Verona, e io – che mi sono specializzata in Anatomia patologica e tutto volevo fare tranne che dissotterrare vecchie ossa, spidocchiare antiche trecce e analizzare resti centenari – mi devo adattare, in attesa di trovare il lavoro dei sogni in Inghilterra.

Ma, come sempre, la vita ha altri programmi per me. Così, mentre cerco di ambientarmi in questo nebbioso e gelido inverno veronese, devo anche rassegnarmi al fatto che ci sono delle scelte che ho rimandato per troppo tempo. Ed è giunto il momento di farle.

In fondo, che ci vuole? È questione di coraggio, è questione di intraprendenza… E, me lo dico sempre, è questione di Costanza.

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Hong Kong: Racconto di una città sospesa – Marco Lupis * impressioni di lettura

… Hong Kong è un sogno nato da un incontro d’amore tra Oriente e Occidente.

Di Hong Kong si parla spesso nei telegiornali, per lo più – almeno negli ultimi anni – a causa delle giustificate proteste da parte della popolazione (o di una parte di essa) contro le norme che limitano la libertà personale che il governo cinese continua a imporre all’ex colonia britannica. Forse alcuni (molti?) come me hanno di questa città una conoscenza piuttosto superficiale e nell’udire il suo nome pensano per lo più ai grattacieli o al suo passato nell’impero britannico o alla restituzione alla Cina, avvenuta nel 1997, con tutti i problemi che questa ha portato e porterà agli abitanti.

Ma, naturalmente, Hong Kong è molto di più.

In questo libro Marco Lupis attinge alla sua profonda conoscenza della città, che è quella di chi un luogo lo vive e lo ha vissuto veramente abitandovi e lavorandovi per anni, non di un semplice turista e nemmeno di un viaggiatore, e dipinge di Hong Kong un quadro accurato, che coglie e sottolinea le sue mille sfaccettature, le tante contraddizioni, il fascino e il disagio.

L’autore accompagna, o per meglio dire guida, il lettore seguendo un percorso particolare, con un racconto che inizia dalle tante isole (oltre 250) che costituiscono il territorio del Porto profumato (questo è il significato di Hong Kong in cinese) per mostrare come l’acqua, occupando quasi il 70 per cento della sua superficie, caratterizzi la città come “liquida”, tanto che più volte sono state interrate vaste aree di mare per aumentare la superficie edificabile (reclamation):

Dal 1887, Hong Kong ha strappato al fondo del mare oltre 70 chilometri quadrati di terra, inghiottendo nel processo oltre due dozzine di isole, isolotti e affioramenti rocciosi.

Mentre la narrazione prosegue spaziando dalla storia antica a quella coloniale e recente fino alla situazione attuale, diviene ancora più chiaro come Hong Kong sia e sia stata sempre sospesa fra due mondi opposti: passato e presente, oriente e occidente, ricchezza e povertà, feng shui e Triadi. Talvolta i due estremi si sono integrati ma più spesso questo non è avvenuto perché è troppa la distanza che li separa.

E dopo che la città è tornata sotto l’autorità cinese, nonostante la promessa espressa dalla formula “un paese due sistemi”, si è aggiunto un ulteriore drammatico motivo di contrasto, quello fra la democrazia preesistente e la progressiva soppressione delle libertà individuali:

Molti pensano che la lotta ideologica tra Pechino e l’Occidente finirà per bloccare e forse distruggere Hong Kong, e io sono tra questi. Sicuramente la sta condannando al declino. Ormai la città non viene più vista da nessuno dei due contendenti come un modello a cui ispirarsi, ma come un ammonimento reciproco: sui pericoli della democrazia – per Pechino e i suoi alleati; su quelli dell’autoritarismo – per l’opposizione democratica e i movimenti che hanno animato le proteste.

Ho sempre considerato che leggere un libro, soprattutto se ambientato in un luogo che non conosco direttamente nemmeno come turista, sia come affacciarmi da una finestra e vedere, attraverso gli occhi dell’autore, qualcosa di quel luogo e della vita delle persone che ci vivono. Con “Hong Kong: Racconto di una città sospesa” la finestra diviene una porta e la lettura un vero e avvincente viaggio nella geografia, nella storia e nella complessa attualità di questo luogo straordinario.

L’autore

Giornalista, fotoreporter e scrittore, Marco Lupis è stato corrispondente e inviato speciale dall’Estremo Oriente e soprattutto da Hong Kong, per le maggiori testate giornalistiche italiane (Panorama, Il Tempo, Corriere della Sera, L’Espresso e la Repubblica) e per la RAI.

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Hong Kong: Racconto di una città sospesa – segnalazione

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2020: Il lockdown e la pandemia in prosa e poesia – Daniela Domenici * impressioni di lettura

La pandemia e il lockdown invadono ancora la nostra vita e Daniela Domenici ci propone nuove riflessioni, sulla situazione e sulle parole che quasi scandiscono i nostri giorni da oltre un anno. Molte delle composizioni raccolte in questo libro sono dedicate all’insegnamento, che per l’autrice è veramente una missione. Con versi freschi e arguti ma anche densi di emozioni, analizza e racconta la sua esperienza: la didattica a distanza, la ripresa di quella in presenza poi di nuovo abbandonata; la preparazione per gli esami di settembre, i collegi dei docenti, il senso dell’insegnare. E poi esprime le sensazioni, i dubbi e i timori condivisi da molti, mantenendo però sempre un tono apparentemente leggero e, soprattutto, senza rinunciare alla speranza.

Sinossi

L’autrice ci accompagna con leggerezza e ironia in questo lungo e difficile 2020, offrendoci nuove prospettive e utili spunti di riflessione. In questa seconda parte del suo diario della pandemia Daniela Domenici regala ancora una volta emozioni, il suo ottimismo pervade queste pagine, dai pezzi in prosa alle composizioni in rima, contagiando la lettrice e il lettore… e spontaneo nasce un complice sorriso.

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Cambiare l’acqua ai fiori – Valérie Perrin * impressioni di lettura

(titolo originale Changer l’eau des fleurs, 2018; trad. Alberto Bracci Testasecca (2019))

Ho preso questo romanzo in prestito dalla libreria degli ebook (MLOL), incuriosita, appena un poco, anche dal suo successo. Ovviamente, mi capita di leggere libri che hanno avuto analogo successo o anche maggiore, per quanto di solito non mi senta attratta da un libro perché ha avuto successo: in alcuni casi mi sono piaciuti, in altri meno, in alcuni casi per niente.

E in questo caso? Di sicuro Cambiare l’acqua ai fiori non mi ha appassionata, a tratti forse mi è parso quasi un po’ noioso, forse ridondante. L’impostazione è particolare e questo potrebbe essere un pregio come un difetto o forse nessuno dei due. La storia è narrata in 94 capitoli, alcuni molto brevi e altri (pochi) più lunghi, e il racconto procede con un alternarsi di presente (dal 2016 al settembre 2017) e passato, o meglio vari momenti del passato che a loro volta si alternano per ricostruire alla fine la storia (passata e presente) della vita di Violette e in parte anche quella di Philippe, suo marito; a questa si aggiungono brani del diario di un’altra donna, che Violette conosce superficialmente nella sua veste di guardiana di cimitero diventando poi, dopo la sua morte, amica del figlio. Non voglio dire che sia difficile seguire il filo della narrazione, però questa risulta talvolta risulta – a mio parere – un po’ troppo frammentata.

L’altra cosa che mi aveva incuriosito di questo romanzo – se non fosse stato per questo probabilmente non lo avrei letto – era la professione della protagonista: guardiana di cimitero. Forse ho pensato a una sorta di Antologia di Spoon River o forse solo al fatto che un’ambientazione del genere mi sembrava originale e quindi volevo vedere che ruolo giocasse. Naturalmente il romanzo non somiglia all’opera di Edgar Lee Master, anche se in qualche caso parla delle persone sepolte nel cimitero (di Brancion-en-Chalon). La “storia al presente” di Violette inizia proprio perché lei è una guardiana di cimitero (ammesso e non concesso che ve ne siano, in Francia, qui da noi – almeno in quelli che conosco io – non ce ne sono), una guardiana piuttosto particolare, con cui le persone che vanno a trovare i loro cari defunti spesso si fermano a parlare, ospitati nella sua casa a bere qualcosa.

Commentare il libro senza rivelare troppo della storia non è facile e io non ci provo nemmeno, quindi sulla trama non aggiungo altro. Posso però dire qualcosa della protagonista, Violette. Diventa guardiana del cimitero nel 1997, sostituendo il precedente, Sasha, che va in pensione. Prende l’abitudine di annotare come si è svolta ogni sepoltura: il tempo che faceva, le persone che erano presenti, i fiori, le eventuali canzoni di addio, i discorsi tenuti; così, dice lei stessa, se qualcuno che non è venuto al funerale vuole sapere come si è svolto lei può raccontarlo, aiutandosi con gli appunti. Coltiva l’orto come le ha insegnato Sasha, conosce a memoria la collocazione di quasi tutte le tombe, ha una cagnetta. Éliane; nutre i gatti che vivono nel cimitero; ha sempre avuto come “libro della vita” Le regole della casa del sidro.

La narrazione è in prima persona, il punto di vista è quello di Violette; diventa in terza quando lei racconta di altri personaggi (soprattutto del marito Philippe) avvenimenti di cui è venuta a conoscenza. Ci sono inoltre, come ho accennato, brani del diario di Irene, una donna che vuole essere sepolta in quel cimitero insieme a un certo uomo, brani che ovviamente sono in prima persona, dal punto di vista di lei.

Complessivamente il romanzo non mi ha coinvolta molto, forse perché la vicenda principale, che ruota intorno a un evento tragico, è un po’ troppo “diluita” fra altre vicende e non solo quelle della protagonista o del marito, ma anche di alcuni “ospiti” del cimitero che non hanno altro ruolo nella storia se non quello di essere stati accompagnati all’ultima dimora anche da Violette. O forse perché, semplicemente, non ho provato empatia per la protagonista.

Anni fa ho letto e apprezzato L’eleganza del riccio, romanzo la cui protagonista nella sinossi di Cambiare l’acqua ai fiori viene avvicinata a Violette: per quello che ricordo io non trovo alcuna affinità fra i due personaggi.

Sinossi

Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.

Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.

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Un sonetto di Dante

La poesia di Dante che preferisco.

«Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.»

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Versi #26

Potrei scrivere una poesia.

Qualche parola

distesa disordinata

sulle righe di un quaderno.

Potrei scrivere

qualcosa

un gesto

una frase

un proposito.

Qualcosa che possa

risuonare dentro

e tenere compagnia

per qualche istante

almeno.

Ho scritto.

Parole silenziose

come un gatto che dorme

acciambellato sul divano.