Nel titolo di questo libro c’è il vocabolo giocare, ma certo non è da intendersi in un senso irrispettoso nei confronti della tragedia che ha sconvolto il nostro paese e tutti gli altri stati del mondo.
È con le parole, sostanzialmente, che l’autrice gioca e lo fa con amore per le parole stesse e per quello che con esse descrive. Con poesie, deliziosi tautogrammi, petit onze, riflessioni e brevi fiabe racconta i suoi mesi di lockdown e la sua esperienza di insegnante, di nonna, di persona che da casa ascoltava le drammatiche notizie che tutti sappiamo. Un diario composto di frammenti – anche in inglese – che esprimono con leggerezza (ben diversa dalla superficialità) timori e speranze che in molti condividiamo e, soprattutto, la sensazione di estraniamento che il dover rimanere in casa e non poter avere contatti nemmeno con i parenti più prossimi ha suscitato, sensazione che trova la sua manifestazione più immediata nella domanda delle nipotina: “Perché non possiamo abbracciarti?”
Ed è proprio con una poesia sul ritrovarsi con gli amati nipoti, dopo la fine del lockdown, che la narrazione di Daniela Domenici si conclude.