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Al libro

Chiudere un libro che ti è piaciuto molto è come salutare per sempre un vecchio amico. Sì, lo potrai rileggere, ma sarà come una telefonata piena di “ti ricordi”. Sì, potrai leggere altri libri dello stesso autore, ma sarà come vivere insieme nuove avventure, tu e lui sarete diversi, altri.

Chiudere un libro è dare un addio a ciò che il libro ti ha risvegliato dentro. Niente di drammatico, in fondo, ci sono tanti libri da aprire e chiudere. Solo uno dei tanti addii che costellano la tua vita.

(1995)

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Natale punto e a capo – Concetta D’Orazio – Impressioni di lettura

Tre racconti, tre storie ciascuna delle quali ha per protagonista una donna. Storie di persone comuni che vivono, come tutti, le difficoltà di un momento tanto complicato e in cui è davvero immediato identificarsi e provare empatia. Storie delicate e forti nello stesso tempo, che lasciano al lettore un gusto dolce di speranza.

Una bella scrittura le rende ancora più godibili e non è certo questa una novità, anche le altre opere dell’autrice sono caratterizzate da proprietà e ricchezza di linguaggio, nonché da uno stile raffinato.

Sinossi

Natale punto e a capo. Storie ai tempi della pandemia.
Una raccolta ambientata sul finire dell’anno 2020. Ogni racconto porta il nome di una donna.
Il destino, incomprensibile e meraviglioso allo stesso tempo, imprime il segno, in diverso modo, sulle vicende di Tina, Regina e Margherita.

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Viaggio al termine della notte – Louis-Ferdinand Céline * citazioni #10

(titolo originale “Voyage au bout de la nuit”; pubblicato nel 1952, edizione che sto leggendo del 2011; traduzione di di Ernesto Ferrero)

Ecco come il protagonista descrive l’arrivo a New York:

Come sorpresa, non era male. Attraverso la bruma, era così stupefacente quello che si scopriva all’improvviso che noi all’inizio rifiutammo di crederci e poi comunque quando fummo in pieno davanti alle cose, ognuno dei galeotti che eravamo s’è messo proprio a ridere, vedendo quello, dritto davanti a noi… Figuratevi che era in piedi la loro città, assolutamente diritta. New York è una città in piedi. Ne avevamo già viste noi di città, sicuro, e anche belle, e di porti e di quelli anche famosi. Ma da noi, si sa, sono sdraiate le città, in riva al mare o sui fiumi, si allungano sul paesaggio, attendono il viaggiatore, mentre quella, l’americana, lei non sveniva, no, lei si teneva bella rigida, là, per niente stravaccata, rigida da far paura. Ne abbiamo dunque riso come dei balenghi. Fa strano per forza, una città costruita per diritto.

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Luoghi popolati di figure – José Saramago – Impressioni di lettura

(Ho letto questo testo in formato ebook; non è citato il nome del traduttore.)

Una raccolta di 13 racconti narrati in prima persona che sono quasi più riflessioni: sui ricordi, sulla vita, su attimi. Testi molto brevi e molto poetici. Quasi diversi dai romanzi di Saramago, mi sono sembrati più lievi e, stranamente, li ho trovati privi della consueta amara ironia/critica, a parte pochissime frasi.

Qui sotto i titoli dei racconti e. per alcuni, una citazione o un commento.

Nessuno si bagna due volte nello stesso fiume

Le bondosas

È così che muoiono le infanzie, quando i ritorni non sono più possibili perché i ponti tagliati inclinano verso l’instancabile acqua le travi sconnesse nello spazio estraneo. Non c’è allora altro rimedio che quello del serpente: abbandonare la pelle nella quale non entriamo più, lasciarla a terra, tra i cespugli, e passare all’età successiva. La vita è breve, ma in essa entra più di quel che siamo in grado di vivere.

Giardino d’inverno

L’isola deserta

Un azzurro per Marte

La luna che ho conosciuto

Le terre

Nel cortile, un giardino di rose

La piazza

L’officina dello scultore

Il giardino di Boboli

Il narratore ricorda una visita al Giardino di Boboli e descrive un gruppo di italiani che sciamano intorno alla statua di Pietro Barbino che lui (o comunque il narratore) stava osservando: sono colorati, chiassosi, invadenti. Dopo di loro dei giapponesi, silenziosi, ordinati e freddi.

Parlo del giardino di Boboli, su cui dà il favoloso e anarchico museo di Palazzo Pitti, assurdo museologico da dove il visitatore esce saturo e perduto. Per recuperare l’equilibrio, presi a camminare nei viali, ascoltando il mormorio delle acque, scoprendo il nitore delle statue tra la mitezza di quei verdi toscani, per apprendere, insomma, a poco a poco, già lontano dai quadri, quel che gli stessi quadri dovevano ancora darmi. E alla curva di una strada alberata mi appare la statua di Pietro Barbino, nuda e obesa, mano alla Vita e gesto da oratore. È enigmatica questa figura. E anche un po’ ripugnante. V’è in essa una specie di insolenza, come se Pietro Barbino fosse il riflesso animale di ciascuno dei visitatori che gli si fermano davanti: “Non illuderti, sei esattamente come me – nano e deforme, oggetto di divertimento per un altro più potente di te”.

Il fiume più grande del mondo

…il silenzio si compone di innumerevoli rumori…

Una notte in Plaza Major

Purtroppo, non tutto può essere recuperato. Anche se tornassi cento volte a Firenze, anche se scegliessi il giorno e la luce, non sentirei come allora il brivido fisico (sì, il brivido fisico, nel senso letterale, fisiologico, dell’espressione) che mi percorse dalla testa ai piedi davanti all’entrata della Biblioteca Laurenziana progettata e costruita da Michelangelo. Sarebbe un miracolo, e i miracoli, se accadono, sono troppo preziosi per ripetersi. E non rivedrei sulla strada per Venezia quel sole sospeso tra una nebbia oleosa, da cui si irradiavano i colori dell’arcobaleno, ma blandi, smorti, come la città che sembrava fluttuare su zattere e andare alla deriva nella corrente.

Funzione della memoria è conservare queste cose prodigiose, difenderle dall’usura banalissima della quotidianità, gelosamente, perché forse sono la miglior ricchezza che abbiamo.

José Saramago (Azinhaga, Portogallo, 1922 – Tías, Isole Canarie, 2010) ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1998.

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Natale punto e a capo – Concetta D’Orazio – Segnalazione

Segnalo l’uscita della racconta di racconti “Natale punto e a capo. Storie ai tempi della pandemia” di Concetta D’Orazio, disponibile in formato ebook e cartaceo sullo store di amazon. Tre racconti, ciascuno con protagonista una donna, tre storie che si svolgono ai nostri giorni, così difficili.

Ma ecco come la stessa autrice ci introduce alla sua raccolta:

Questa breve raccolta di racconti nasce da un’intuizione inconsueta che ho avuto nelle giornate trascorse in casa, a causa del confinamento generale dovuto alla pandemia. Questo periodo è stato duro per tutti, crudele. Negli animi si sono alternati sentimenti che ci hanno messo alla prova per lungo tempo: angoscia, incertezza, paura.

Il 2020 lo ricorderemo come l’anno delle insicurezze, della speranza alternata alla disperazione. Sin dai mesi iniziali abbiamo vissuto in balìa del caos, insicuri di poter arrivare alla fine di quell’incubo che non voglio nominare. Quella parola non la troverete nella mia raccolta. Non pronunciare quel flagello mi è parso un modo per tenerlo lontano, forse, o almeno per scacciarne il ricordo durante la lettura.

Trascorreremo un Natale diverso, come mai avremmo pensato. Sarà necessario rivedere le nostre abitudini, modificarle, calibrando di nuovo le speranze. Saranno giorni in cui ci concentreremo in maniera intima sul nostro essere interiore. Spero che la lettura delle mie storie possa offrire qualche momento di evasione.

Sinossi

Natale punto e a capo. Storie ai tempi della pandemia.
Una raccolta ambientata sul finire dell’anno 2020. Ogni racconto porta il nome di una donna.
Il destino, incomprensibile e meraviglioso allo stesso tempo, imprime il segno, in diverso modo, sulle vicende di Tina, Regina e Margherita.

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Spillover – David Quammen * impressioni di lettura #9

(Titolo originale “Spillover Animal Infections and the Next Human Pandemic”; traduzione di Luigi Civalleri; pubbl. 2012; edizione italiana del 2014)

Lo so che dopo il quarto viene il quinto, ma ho appena finito di leggere l’intero libro e il capitolo che ho più fresco in memoria è l’ultimo, il nono. Si intitola “Dipende…”, vocabolo che è anche l’ultima parola dell’ultima pagina.

L’autore inizia questo capitolo descrivendo l’invasione da parte di una specie di bruchi (Malacosoma disstria) che, nel 1993 nella cittadina in cui lui vive, divorò le foglie di quasi tutti gli alberi. Nessun tipo di rimedio riuscì a bloccare i bruchi; la devastazione si fermò da sola quando i bruchi si infilarono nei bozzoli e poi ne uscirono fuori dopo qualche settimana in forma di piccole falene brune. Una simile grande crescita di una popolazione viene definita esplosione (Outbreak). L’entomologo Alan A. Berryman ha affermato nel suo saggio “The Theory ad Classification of Outbreak”:

Dal punto di vista ecologico, un’esplosione si può definire come un estremo aumento della numerosità di una determinata specie che avviene in un intervallo di tempo relativamente breve.

E poi aggiunge:

Da questo punto di vista, la più seria esplosione verificatasi sul pianeta Terra è quella della specie Homo Sapiens.

In effetti il numero di esseri umani sta aumentando in modo molto rapido: nel 1960 eravamo tre miliardi e nell’ottobre del 2011 eravamo saliti già a sette.

Le esplosioni, ad ogni modo, prima o poi finiscono. Nel caso dei bruchi la fine fu determinata da un virus (Nucleopoliedrovirus) che li assalì nella loro forma di falene e ne diminuì drasticamente il numero (le uccideva sciogliendole, letteralmente).

Anche la popolazione umana potrebbe essere ridimensionata da un virus.

Il virus potrebbe essere quello di un’influenza, malattia molto importante, molto complicata da studiare e potenzialmente devastante. È causata da tre tipi di virus, il più preoccupante e diffuso è etichettato con la lettera “A”; si tratta di un virus a RNA. Due delle proteine prodotte, emoagglutina e neuroamidasi servono per far entrare e uscire il virus dalla membrana della cellula ospite. Il virus che causò l’epidemia di spagnola nel 1918 e 1919 e uccise circa cinquanta milioni di persone è stato identificato con precisione solo nel 2005 (è una variante di H1N1).

Il virus dell’influenza si trasforma con molta facilità e questo rende difficile poterlo combattere. Non tutti i tipi di influenza (almeno per ora) colpiscono gli esseri umani.

In una conferenza nel 1997, l’infettivologo ed epidemiologo Donald S. Burke

enunciò i criteri che rendevano certi virus probabili candidati al ruolo di scatenatori di epidemie: «Il primo è il più ovvio: responsabilità per recenti pandemie umane. Il secondo criterio è la provata capacità di causare serie epidemie in popolazioni di animali non umani.» Il terzo era «la intrinseca capacità evolutiva» cioè la facilità di mutare e ricombinarsi.

Fra gli esempi citava i coronavirus, perché

ad alta capacità evolutiva e provata abilità di causare epidemie nelle popolazioni animali.

Lo specialista di ecologia matematica Greg Dwyer disse a Quammen che nello studio da lui fatto di tutti i più celebri modelli matematici delle epidemie umane

Lo aveva colpito una cosa: l’influenza decisiva del comportamento individuale sul tasso di trasmissione.

E che riteneva che la varietà dei comportamenti (detta eterogeneità) potesse ridurre il tasso globale di infezione:

«Ogni piccola cosa che facciamo può abbassare il tasso di infezione, se ci rende diversi gli uni dagli altri e non corrisponde al comportamento standard del gruppo»

Insomma, l’essere umano può scegliere di non compiere le azioni che possono avere come conseguenza uno spillover e una diffusione di virus e batteri, cosa che un bruco (ad esempio) non è in grado di fare.

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Arabesque

Un bel racconto di Litteratti

Litteratti - un blog per esploratori di mondi di parole

Si mise diligentemente in fila. Non ce la faceva proprio a non sorridere all’idea che per la prima volta in vita sua stava entrando in un Tesco. Ci era voluto un avvenimento epocale come una pandemia a metterlo in riga. Non l’aveva mai fatto prima, quando le file non c’erano e si poteva entrare e uscire dai negozi a piacimento come a casa propria. Ora però sentiva come se dovesse partecipare a un rito collettivo: condividere con gli altri il pericolo di stare insieme nell’attesa di un pizzico di speranza.

Meticoloso com’era contò quanti stavano davanti a lui con la precisione di un metronomo: disposti lungo un rigo invisibile, a intervalli regolari, come un’unica nota ripetuta – un sol naturale, quello delle sirene delle ambulanze che rompevano il silenzio nelle strade. Uno, due, tre, una testa laggiù… chissà se nel contare incrociò il numero delle fughe di Bach. Forse ricordò…

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Luna Park – quasi un racconto

L’insegna luminosa brillava tra i lampioni e l’umidità della notte quando vi passai davanti. Le lettere, disposte una sotto l’altra, si accendevano una per volta, dall’alto in basso, componendo la parola PARK.

Mi voltai indietro – ero ferma al semaforo – alla ricerca di un’altra insegna in cui fosse scritto LUNA. Non ne scorsi e pensai che fosse il fatto di stare nell’auto a impedirmene la vista, ma a un tratto mi resi conto che la parola era sostituita o, meglio, espressa dall’immagine di una mezza luna, sempre accesa e sorridente, con occhio ammiccante, che sovrastava la parola PARK.