(Titolo originale “Flowers for the Judge”, Traduzione di Rosalba Buccianti; originale pubblicato nel 1937, edizione italiana da me letta I Classici del giallo Mondadori, agosto 1991)
Nella prima parte di questo giallo ho trovato un vocabolo che mi pare di aver letto per la prima volta (o, comunque, è una delle poche volte che mi capita sotto gli occhi). Si tratta del verbo usmare. Dal contesto era piuttosto chiaro quale fosse il significato, però sono andata lo stesso a controllare su vari dizionari online.
Dunque ecco quello che ho trovato:
annusare in modo rumoroso (tipico più degli animali)
nell’uso regionale settentrionale come sinonimo di odorare, fiutare.
Per quanto riguarda il romanzo, che è il settimo che ha come investigatore protagonista Albert Campion, che dire, non mi ha entusiasmata. Anche il colpo di scena finale (almeno una parte) era per me piuttosto prevedibile. Comunque nel complesso è stata una lettura abbastanza gradevole.
Il titolo, tradotto fedelmente dell’inglese, non mi è parso rispecchiare molto la storia raccontata; si riferisce a una vecchia abitudine dei giudici che nei tempi passati, quando l’igiene nei tribunali (e non solo) era scarso: il profumo dei fiori copriva in parte i cattivi odori e – forse – proteggeva (o illudeva che proteggesse) dalla peste. (almeno questa è la spiegazione che si trova nel romanzo).