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Parigi – Impressioni #5

Parigi per me significa Impressionisti… e dintorni.

Purtroppo le foto che ho fatto ai quadri non sono un gran che, però, almeno per me, sono comunque un modo per “tenerli vicini”.

Al Museo d’Orsay ogni sala dedicata agli Impressionisti necessiterebbe di una visita a sé, per la bellezza dei dipinti che contiene… qui ho riportato alcune tele di Cezanne, Monet, Van Gogh, Signac.

20160624_145112 orsay

 

20160624_154633 orologio Orsay

20160624_154737 Dante e Virg

Cezanne paesaggio montagna

Cezanne paesaggio verde

Cezanne giocatori

Monet neve

 

van Gogh ritratto

van Gogh camera ok

Van Gogh paesaggio in verde

van Gogh chiesa

marinaio

Signac - marina

 

 

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Parigi – Impressioni #4

Visitare il museo del Louvre è impossibile, almeno per me. Troppe sono le opere esposte, troppi secoli e luoghi rappresentano: la mente non è abbastanza capiente. Forse con un adeguato allenamento sarebbe possibile memorizzare meglio le sensazioni provate.

La mia visita è stata breve e mirata solo ad alcune opere, proprio per la mia incapacità di poterne vedere troppe.

Tra le foto: La bella Ferroniere di Leonardo e Una Sfinge egiziana.

20160623_104506 scultura bronzo

20160623_113405 Ferroniere 20160623_111110 sfinge

20160623_105147 pannelli 20160623_105018 pannelli color

 

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Parigi – impressioni #1

A causa delle persone che la circondano, sostanzialmente per fotografarla e, peggio (almeno secondo me), per farsi selfie con lei alle spalle, è difficile riuscire a scattare una foto decente. Oltretutto il quadro è protetto da un vetro che produce vari fastidiosi riflessi. Comunque, se si è a Parigi, non si può non passare a trovarla, anche se, forse, altre opere di Leonardo sono più belle.

Chi è lei? Ma è la Gioconda, naturalmente.

20160623_113900 Gioconda


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Due uomini buoni – Arturo Pérez-Reverte

(titolo originale Hombres buenos, trad Bruno Arpaia; pubblicato nel 2015)

Due uomini buoni è un romanzo storico, ma non solo, avvincente e, in parte, filosofico, che mi è piaciuto davvero molto. Come ho già accennato in questo post, in qualche modo mi ha ricordato il modo di scrivere di Saramago, probabilmente per il fatto che l’autore o, meglio, il narratore, è presente come personaggio e, di conseguenza, esprime opinioni e considerazioni.

cover Due uomini buoni

Il romanzo ha, quindi, due diversi punti di vista: quello espresso dall’autore-narratore in prima persona al passato, nelle parti in cui vengono raccontate le ricerche per descrivere in modo corretto i luoghi, i personaggi e gli usi, e quello in terza al presente quando l’autore scrive il romanzo, narrando la vicenda dei due uomini buoni del titolo. Questo passare da una trama all’altra è dosato in modo armonioso, i cambiamenti di punto di vista non mi sono mai sembrati delle interruzioni, anzi, a mio parere, aggiungono interesse alla storia.

Leggere quali sono i libri che il narratore-autore ha consultato, quali le vecchie mappe dei luoghi con cui ha confrontato la situazione attuale delle città rende il racconto (ambientato negli anni di poco antecedenti la Rivoluzione Francese) molto più vicino nel tempo, un po’ come se fosse il lettore stesso a scriverlo. In pratica è un romanzo dentro un romanzo, cosa che mi affascina sempre. Quella che segue, ad esempio, è un’affermazione fatta dal narratore a proposito del viaggio fatto sulla stessa strada percorsa dai suoi protagonisti (ma chi è in realtà a farla: Reverte stesso o il narratore-autore:

Conosco poche sensazioni gradevoli quanto camminare per quei luoghi come un cacciatore con la bisaccia aperta mentre una storia si forgia nella tua testa; entrare in un edificio, camminare lungo una strada e decidere: questo posto fa al caso mio, lo metto nella mia storia. Immaginare i personaggi che si muovono in quello stesso luogo, seduti dove sei seduto tu, guardando quello che guardi tu. Paragonata alla scrittura vera e propria, questa fase preliminare è ancora più eccitante e fertile, al punto che certi momenti della scrittura, la sua materializzazione in inchiostro, carta o schermo del computer, possono poi presentarsi come un atto burocratico e perfino ingrato. Nulla è esimile all’impulso d’innocenza originario, all’inizio, alla genesi primigenia di un romanzo quando lo scrittore si avvicina alla storia da raccontare come a qualcuno di cui si è appena innamorato.

Oltre che per questo aspetto strutturale, intrigante e piuttosto originale, il romanzo vale la pena di essere letto per la storia che racconta: i membri dell’Accademia Reale di Spagna (di cui è membro anche Arturo Pérez-Reverte) decidono di acquisire la prima edizione dell’Encyclopédie di D’Alembert e Diderot, i cui ventotto volumi sono considerati un’opera proibita, perché contraria alla religione, sia in Spagna che in Francia. Avendo comunque il benestare del Re di Spagna, l’Accademia incarica il bibliotecario Hermògenes Molina e l’ammiraglio Pedro Zàrate (scelti perché uomini buoni) di recarsi a Parigi per acquistare l’Encyclopédie. Due degli altri accademici, contrari a questa acquisizione, assoldano un avventuriero affinché ostacoli, nei modi che ritiene opportuni, il viaggio dei colleghi, l’acquisto dell’Encyclopédie e il suo trasporto in Spagna.

Il viaggio e il soggiorno a Parigi di don Hermògenes e di don Pedro sono alquanto avventurosi e densi di incontri e anche di scontri; i due stringono fra loro una salda e sincera amicizia, basata su una stima reciproca, e, nella loro ricerca, conoscono vari personaggi importanti dell’epoca.

I protagonisti sono davvero due uomini buoni; in loro, pur con le debite differenze (don Hermògenes è credente mentre don Pedro è ateo) sono grandi la tolleranza e l’apertura mentale, qualità non altrettanto diffuse fra i loro colleghi e fra la maggior parte delle persone in generale (a quel tempo ma anche al giorno d’oggi), ad eccezione di alcuni degli intellettuali che incontrano a Parigi.

A Parigi don Pedro acquista per sé alcuni libri e ne legge quando riposa in albergo; Pérez-Reverte condivide con noi un paio di citazioni da Système de la nature, scritto “dall’enciclopedista barone d’Holbach”:

Se l’ignoranza della natura diede vita agli dei, la sua conoscenza li distruggerà.

E poi, ancora:

Non è meglio gettarsi nelle braccia di una natura cieca, priva di saggezza e di obiettivi, piuttosto che tremare per tutta una vita schiavizzati da una presunta Intelligenza Onnipotente, che ha disposto i suoi sublimi disegni affinché i poveri mortali abbiano la libertà di disobbedirvi, e trasformarsi così in continue vittime della sua collera implacabile?

L’importanza, simbolica e reale, dell’Encyclopédie, viene descritta anche in questo scambio di battute, fra don Pedro e l’avventuriero incaricato di impedire la missione dei due accademici (il primo a parlare è l’avventuriero):

«Quei libri sono tanto preziosi da morire per loro?» domanda.
L’altro ci pensa un istante, o sembra farlo.
«Non è per loro, ma per quello che c’è dentro» risponde alla fine.
«Caspita… E di cosa si tratta?»
«Della Ragione. Quella che un giorno farà in modo che non esistano più uomini come lei.»

E, infine, alcune righe proprio dall’Encyclopédie, dal Discorso Preliminare, righe che sembrano scritte per illuminare, se mai fosse possibile, l’oscurità dei nostri giorni:

Sono gli uomini ispirati a illuminare il popolo, e i fanatici a traviarlo. Ma il freno che dev’essere opposto agli eccessi di questi ultimi non deve assolutamente coartare la libertà così necessaria alla vera Filosofia.

E, ancora, un plauso a don Pedro che, a proposito delle corride, dice al collega accademico, in modo “un po’ brusco”:

«Però lo spettacolo di una marmaglia analfabeta che applaude al martirio di un animale ci svergogna di fronte a tutte le nazioni colte.»

 

Questo è il link a un’interessante intervista ad Arturo Pérez- Reverte del settembre 2015 uscita sul Corriere.

 

Pubblicato in: I miei libri, Matematica

Sophie Germain, Matematicienne

Ricorre oggi, 1 aprile, l’anniversario della nascita di Sophie Germain, matematica francese, nata a Parigi nel 1776 (il primo aprile, appunto) e morta il 27 giugno 1831.
Studiosa, fra l’altro, di Teoria dei numeri, si occupò dell’Ultimo Teorema di Fermat ed ebbe una lunga corrispondenza con Carl Friedrich Gauss (uno dei più grandi matematici di tutti i tempi) e al suo nome sono legati dei particolari numeri primi, detti appunti Primi di Germain.

Riporto qui sotto un brano del mio romanzo “Lidia, che detesta la Matematica” in cui la protagonista quindicenne, Lidia, parla alle amiche di Sophie.

Lo sai che nei secoli passati pochissime donne si sono dedicate alla matematica? Si pensava che lo studio delle materie scientifiche fosse nocivo per la femminilità e poi solo gli uomini venivano ammessi alle università.”
Dani mi ha guardata e ha allargato le braccia: “Lo vedi che sei fissata?”
Intanto si era avvicinata Ludo, che ha domandato incuriosita:
E allora quelle poche come hanno fatto?”
Erano così determinate da riuscire a superare parte degli ostacoli.”
Ne conosci qualcuna?” Ha chiesto ancora Ludo.
Mi sono lanciata in una sorta di conferenza.
Una era Sophie Germain. Nacque verso la fine del Settecento a Parigi, e si appassionò fino da ragazzina alla matematica. Si portava di nascosto libri e candele in camera e li leggeva la notte, perché i suoi le avevano proibito di studiarla. Faceva questo quando aveva più o meno la nostra età: vi rendete conto?”
Anche a me succede. Ma con i romanzi.”, ha commentato Dani.
Invece Ludo ha detto con aria sognante: “Doveva piacerle davvero molto.”
Ho proseguito: “Alla fine i genitori capirono che era giusto lasciarla studiare e lei poté farlo più liberamente, anche se, essendo una donna, non poté frequentare i corsi all’Ecole Polytechnique, una specie di università; li seguì da casa, fingendo di essere un uomo e con quello stesso nome in seguito firmò le lettere che scriveva a Gauss, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi.”
Era brava?”
Sì. Ha vinto un concorso indetto dall’Accademia delle Scienze e ha dimostrato, fra le altre cose, un teorema su certi tipi di numeri primi. Sia questi numeri che il teorema portano il suo nome. E poi si è occupata di acustica e di teoria dell’elasticità.”
Che bello avere dei numeri che si chiamano come te.”

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Turista suo malgrado, un racconto

Davide, un anno appena, scruta dall’alto, o meglio dal basso, del suo passeggino quanto lo circonda, ma è tutto troppo grande per lui, si perde cercando di rincorrere le prospettive e capire dove finiscono le strade, i palazzi. Questa città non sa proprio di niente, c’è troppo di tutto, eccettuate le cose divertenti e carine: lo striminzito giardinetto vicino a casa sua, dove lo porta qualche volta la nonna, pieno di altri bambini e nonne e mamme e bambini, con un paio di vecchi girelli e un’altalena, quello è tutta un altra cosa. Ma qui… cosa ci siamo venuti a fare, si chiede Davide smaniando nel suo sedile.

 

“Davide stai buono, siamo quasi arrivati” dice la mamma; ma sarà almeno la terza volta che lo dice, speriamo che sia quella buona. Girato un altro angolo il babbo e la mamma iniziano a emettere una serie di esclamazioni del tipo:

“Oh che bella!”

“Com’è maestosa”

“Che linea”

“Com’è grande”

“Dai, facciamo la fila per salire su”

Davide si sforza di guardare dove guardano loro per scoprire cosa li eccita tanto: non c’è niente di interessante, solo un muro, e su di esso un’enorme zampa di metallo che va in su. Davide tenta di individuare dove va a finire la zampa che ha più vicina e vede che si unisce con altre zampe e continua a salire con esse.

Pensa: “Forse arrivano fino al cielo”, perché non vede la cima della torre: allora un po’ di entusiasmo inizia a contagiarlo.

Intanto il babbo è riuscito a procurarsi i biglietti, e tutti e tre si mettono in fila per prendere l’ascensore. L’ascensore è una grossa stanza piena di gente, e ci fa caldo; dopo quello occorre prenderne un altro, ancora più stretto e affollato; la gente guarda di traverso il passeggino, è troppo ingombrante. Finalmente si scende: siamo arrivati in cielo? più probabilmente su una nuvola, a Davide non sembra di essere salito poi tanto. Niente di tutto questo: intorno a lui ci sono sbarre e reti, sembra una prigione. Il babbo lo prende in braccio, e gli dice “Guarda che bel paesaggio, questa è Parigi! Vedi le papere laggiù come sono piccine?” Davide guarda, ma non vede niente, si sente circondato dalla gente, dietro la rete intravede a malapena il cielo, che non sembra affatto più vicino.

Davide è così deluso che non riesce neanche a piangere, appena rimesso giù si accuccia nel passeggino, si succhia il pollice e cerca di immaginarsi sull’altalena vicino casa.