Quando arrivò il giorno stabilito tutti erano ansiosi di sapere cosa avrebbe deciso il Consiglio dei Saggi riunito appositamente in assemblea per risolvere il complicato quesito.
Per l’occasione fu istituita una festa nazionale, in modo che tutti, dagli studenti ai lavoratori di qualunque settore, potessero assistere in diretta alla riunione trasmessa dalla televisione a canali unificati.
Finalmente, verso le nove di mattina, i primi partecipanti iniziarono a prendere posto nella grande sala. Diverse telecamere inquadravano i saggi via via che arrivavano.
La prima difficoltà sorse quando alle dieci il Presidente decise di dare il via alla discussione: un vecchio dalla prima fila sosteneva che mancassero tre membri del Consiglio mentre un altro prese a dire che ne mancavano cinque e altre voci si levarono a rivendicare assenze diverse.
Per fortuna il Segretario ebbe una delle sue idee geniali, non per niente era il Segretario del Consiglio da molti anni. Propose cioè di procedere a un appello nominativo per individuare se davvero mancasse qualcuno e di chi si trattasse. Il suggerimento venne accolto e il Presidente stesso prese a leggere i nomi, mentre il Segretario si assunse l’onere di annotare gli eventuali assenti. Nuovamente la fortuna fu benevola: risultò mancare solo un avente diritto al voto, così non fu necessario effettuare complicati conteggi per stabilire il numero degli assenti e l’assemblea risultò regolarmente costituita.
La discussione ebbe inizio. Il Presidente ricordò quale fosse il quesito su cui avrebbero dovuto dibattere, quesito su cui i presenti avevano avuto modo di documentarsi e studiare per diverse settimane in preparazione della riunione e che campeggiava in un megaschermo dietro le spalle del Presidente e del Segretario. Dopo quella breve introduzione il Segretario prese nota delle mani che si alzavano per prenotare un intervento, poi dette la parola al primo dell’elenco.
Era un giovane impetuoso a cui le parole uscivano dal cuore: «I segni fra le cifre sono antichi simboli paleocristiani, che rappresentavano il male. Quindi la risposta al quesito non può essere che zero.»
Si levò qualche mormorio di disapprovazione, subito sedato da un gesto del Segretario, che dette la parola al secondo saggio della lista.
Si trattava di una donna attraente, dai lunghi capelli corvini e lo sguardo fiero, che, in tono deciso, come se non potesse esistere altra risposta, affermò: «Quattro.»
Il segretario segnava accanto ad ogni nome la corrispondente risposta e, dopo aver scritto “4” chiamò a parlare il successivo avente diritto.
Questi era un anziano e distinto signore, che ispirava tenerezza; la sua voce era dolce mentre quasi cantilenando forniva la sua opinione: «Il cerchio è un’entità magica, miei esimi colleghi. Vorrei ricordare a tutti che in molte culture identifica il Sole e quindi la vita: quindi conta solo ciò che è racchiuso nel cerchio. Il risultato pertanto non può essere che dieci.»
Il Segretario scrisse. Continuò a chiamare e scrivere, mentre gli animi si scaldavano e qualcuno parlava anche quando non era il suo turno per dare torto al collega. Il Presidente fu costretto più volte a richiamare gli astanti all’ordine, ricordando l’importanza della riunione.
Nella nostra cronaca riportiamo solo alcuni dei successivi interventi, quelli a nostro giudizio più rilevanti e colti.
Un’elegante signora di mezza età proclamò con sufficienza: «Sappiamo da sempre che la “x” significa pareggio. Quindi il risultato non può essere che uno.»
Un giovanotto dagli abiti in disordine, i capelli spettinati e lo sguardo rivolto verso il punto all’infinito mormorò: «Tre perché lo zero annulla quanto sta fra parentesi.» Il Segretario dovette chiedergli di ripetere perché aveva parlato a voce troppo bassa.
Un’arzilla vecchietta, quasi sghignazzando, esclamò: «Anche il mio gatto sa che la risposta è tredici.»
Il Presidente la rimproverò perché citare il gatto era una mancanza di riguardo verso il Consiglio. Lei continuò a sghignazzare, dandosi di gomito con il suo vicino, un altrettanto vivace vecchietto, che indossava una tuta da jogging e scarpe da ginnastica.
Quando fu la volta di una coppia di adolescenti i due pronunciarono una frase per uno tenendosi per mano e guardandosi negli occhi: «Vanno considerati tutti» disse lei. «Quindi il risultato è quindici» concluse lui.
Un quarantenne in giacca e cravatta confermò: «Quindici.»
Il tipo che gli sedeva accanto invece ripropose: «Zero.»
Per ultimi si espressero il Segretario: «Quattro» e il Presidente: «Uno».
Alla fine il Segretario fece nuovamente l’appello, pronunciando oltre al nome la risposta fornita per verificare di non aver annotato un numero sbagliato. Risultò che doveva dire la sua soltanto il più vecchio dei convenuti che borbottò qualcosa udita solo dal vicino, che l’interpretò come «dodici» e si affrettò a ripeterlo con voce stentorea, coprendo le proteste del vecchio che ripeteva di aver detto, invece, «tredici.»
Il Presidente dichiarò conclusa la discussione e incaricò il segretario di riferire quale soluzione fosse stata data al quesito. Il Segretario, che aveva anche predisposto un elenco delle soluzioni proposte con accanto un segno per ogni voto, individuò facilmente quale fosse la fila di segni più lunga, e quindi la risposta corrispondente:
«Il Consiglio dei Saggi, riunito in assemblea plenaria in data … per decidere la soluzione del quesito
1 + 1 x 1 + (10 + 1 x 0) + 1
ha deliberato la seguente risposta: quattro.»
Si può capire come fosse soddisfatto, visto che “4” era anche la sua ipotesi.
Il presidente, benché scontento e persuaso che il risultato corretto fosse uno, ratificò la delibera; furono apportate le firme necessarie e la riunione si sciolse.
Se la telecamera avesse indugiato sui più lenti a lasciare la sala, avrebbe inquadrato il vecchio che aveva parlato dopo il secondo appello piangere disperato ripetendo «Non è possibile! Non è possibile!» e poi «Tredici… tredici…», incurante del conforto che cercavano di offrirgli la donna che aveva citato il gatto e l’uomo in tenuta da trekking.